Il
fatto che ci troviamo nella sala Aldo Moro della Camera dei Deputati per
celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà mi offre
l’occasione per ricordare che Moro è stato il grande regista di un atto
politico decisivo di lotta alla povertà nel nostro paese. Mi riferisco alla
grande riforma della scuola media pubblica – della scuola media unificata – del
1962, che ricompone anche tante idee diverse. Aldo Moro incoraggiò una
riflessione innovativa, ispirò il grande sforzo che condusse alla nascita della
scuola media unica, che è l’inizio dell’uguaglianza in italia. Prima c’erano
almeno due Italie di cui una sola poteva crescere e studiare.
Io
credo che oggi, quando si ragiona di povertà e si lavora per fare buone
politiche di lotta alla povertà, ci si trovi di fronte a un grande problema
culturale, perché siamo in un tempo in cui i poveri sono criminalizzati. Ci si
sta spostando dalla lotta contro la povertà alla lotta contro i poveri. E
questo mi sembra un cambiamento drammatico, lo stesso cambiamento che
sottolineava ieri Papa Francesco, e cioè come, per esempio, si è passati dalla
pietà, dal dolore, dallo stupore addolorato per quel piccolo bambino che era
stato trovato morto sulla spiaggia: Aylan, il piccolo profugo siriano annegato di
fronte alle coste turche a ben altro clima. A due anni da allora, siamo al
fatto che quei bambini ‘non esistono’, muoiono, spariscono. Ed è consistente in
tutti i paesi europei il numero di quanti dicono: “Ci portano via la nostra
vita”. I poveri, i migranti vengono visti come minaccia, come competitor, e non come esseri umani.
Questo è il momento terribile che noi stiamo vivendo.
Ci
sono i predicatori dell’odio, i predicatori del disprezzo. Pensano di trarne
vantaggio, di certo stanno indebolendo le democrazie occidentali. Quindi per i
poveri sono tempi difficili. Tutti i tempi di crisi sociale – seguiti a crisi
economiche – hanno visto la tentazione dei pogrom, la tentazione di capri
espiatori su cui scaricare il disagio che abbiamo e di cui siamo responsabili.
Oggi è molto forte il dibattito politico sulla distinzione fra profughi che
fuggono dalle guerre e migranti economici: io faccio sempre più fatica invece a
capire la differenza. Per decidere di andare via dal proprio paese, di fare un
anno di percorso durante il quale si finisce nelle mani di trafficanti umani, si
subiscono angherie, si rischia la morte e, purtroppo, spesso si arriva a morire,
le motivazioni devono essere terribili. Non c’è più un posto dove stare, né una
casa o un luogo in cui provare a sopravvivere.
Ma di
fronte al battage di chi predica odio
e disprezzo per l’opinione pubblica è difficile orientarsi. Ed è difficile fare
politiche giuste, è difficile prendere decisioni giuste se si definisce sempre
“emergenza” un fenomeno che è strutturale, se non si vuole lavorare contro la
povertà e togliere alla povertà assoluta la forza di diventare strutturale.
Perché la povertà impoverisce il paese, non è solo un risultato: la povertà è
accumulatore di povertà.
Noi
dobbiamo dunque lavorare a tutti i livelli per recuperare il concetto che i
poveri sono amici e non nemici. Banalità. Come il fatto che i poveri sono come
noi. E c’è, forte, il tema della dignità, dignità per tutti: ognuno è un essere
umano ed è una persona, la dignità deve essere il centro delle leggi.
Penso
a una cosa di Papa Francesco. A inizio pontificato, di fronte a una folla di
giovani diceva: “Quando io confesso – anzi no, adesso non confesso più, prima
confessavo – quando confessavo facevo sempre una domanda: ‘Gliela dai una
moneta a un povero?’ Generalmente rispondevano sì”. Poi faceva una seconda
domanda: “Ma quando gli dai quella moneta, lo guardi negli occhi? Molti
rispondevano di non saperlo, di non ricordarselo”. E poi c’era una terza
domanda: “Ma quando gli dai quella moneta e lo guardi negli occhi, gliela
tocchi la mano? Perché quella è carne di Gesù. E’ carne tua, è carne mia”. Non
riesco a dimenticarlo – e stiamo parlando ancora solo di elemosina, non stiamo
parlando di lotta profonda alla povertà. Carne nostra, la nostra stessa
famiglia.
Che
cosa dobbiamo fare, dunque? Che cosa abbiamo fatto? In questa legislatura
accidentata - con maggioranze che ci sono e non ci sono, la fatica per
approvare un provvedimento è diventata molta a causa di questa frammentazione.
Però, ad esempio, abbiamo approvato la piccola grande legge sul recupero dello
spreco alimentare, che è un inizio. Ma penso anche alla legge sul “Dopo di
noi”, che toglie dall’incubo le famiglie di disabili gravi che non sanno cosa
potrà accadere ai loro cari affetti da disabilità quando rimarranno da soli, decidendo piani personalizzati mentre
si è ancora in vita e assieme alle persone stesse. Qui non c’è solo l’idea di un ente
economico, ma di una protezione complessiva che permetta ai disabili gravi di
continuare lo stile di vita e gli affetti dopo che i familiari sono venuti a
mancare. E penso all’approvazione della prima forma di lotta alla povertà
assoluta universalistica, mai deliberata in Italia dal 1948. Quando abbiamo
lavorato su questo – l’Alleanza contro
la povertà è stata un interlocutore per tutto il percorso e continua ovviamente
a esserlo – abbiamo scoperto che in Italia esistono 18.000 misure locali e
nazionali di lotta al disagio. 18.000, dal 1948 in poi. Quella approvata è la
prima misura universalistica. Si fa notare che le risorse ammontano a un
miliardo, un miliardo e mezzo. Ne servirebbero sette per ‘coprire’ tutta la
povertà assoluta. Sappiamo bene che non c’è la disponibilità rispetto a tutto
ciò di cui abbiamo bisogno, e che bisogna fare di più, ma siamo nella direzione
giusta: non abbiamo a che fare con un aiuto economico, ma c’è l’accompagnamento
complessivo, la possibilità di costruire un percorso lavorativo, che è parte di
un patto anche per uscire dalla povertà. Nulla a che vedere col cosiddetto
“reddito minimo”, dove la decrescita felice rimane felice solo per chi ha già i
soldi.
Noi
oggi ci troviamo poi di fronte anche a un’altra sfida vera, quella di evitare che
i bambini da benedizione diventino maledizione. L’Istat ci dice che da vari
anni le famiglie con più figli minori a carico sono molto più esposte al rischio di
povertà assoluta. In 11 anni siamo passati da 800.000 famiglie a 1.600.000, ma il rischio di essere in povertà assoluta per famiglie con tre o
più figli minori sale a 1 su 4, 26%. Questo è un obiettivo prioritario per
spezzare la catena della povertà assoluta. Poi io spero che potremo andare a
costruire anche per i giovani che non studiano e non lavorano una seconda
possibilità di ricostruzione di ethos,
di simpatia e di tessuto nazionale attraverso la legge sul servizio civile
obbligatorio universalistico. Una legge che reintroduca il tema della gratuità
– e cioè di qualcosa di utile per gli altri – e che oltre a un primo periodo
magari di sei mesi di formazione possa prevedere due o tre giorni all’anno di
lavoro gratuito per la comunità, mentre si ricostruisce una generazione che
ricomincia a stare assieme, e non solo con l’Erasmus, per dare a chi è rimasto
escluso una seconda possibilità per imparare qualcosa con le persone che le
conoscono e che le apprezzano, e che poi può diventare lavoro.
Infine. Noi la prossima settimana licenziamo da questa Camera
l'istituzione della Giornata nazionale della lotta contro la povertà. Tecnicamente
si apre uno spazio per una possibilità, quindi credo e spero che la legge possa
essere approvata con una decisione politica e in quel caso in sede anche
legislativa, quindi eventualmente anche in Commissione. Mi auguro che entro la
fine della legislatura anche il Senato possa dare il via libera, che sarebbe
definitivo.
Intervento in occasione della celebrazione della Giornata Internazionale per l'eliminazione della povertà che si è tenuto presso la sala Aldo Moro della Camera dei Deputati