Mario Marazziti - Pagina Ufficiale

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lunedì 27 febbraio 2017

Grande rispetto per la vicenda di Dj Fabo, ma non si fanno le leggi sulla base di casi-limite



Quella di Dj Fabo è una vicenda tragica. Fabiano ha chiesto il suicidio assistito. Riteneva la sua vita intollerabile  perché troppo dipendente dagli altri. Perché considerava il suo corpo una prigione. La sua è una storia di dolore che merita silenzio e rispetto, un fallimento sempre quando una vita finisce così. E non va utilizzata politicamente in alcun modo, anche perché non si possono fare leggi sulla base di casi estremi.


La legge sulle DAT, sul consenso informato, sulla pianificazione condivisa delle cure che stiamo discutendo in Commissione Affari Sociali da molti mesi, e nell’ultimo mese abbiamo votato 288 emendamenti in 32 ore, aspetta ora solo i pareri delle Commissioni Giustizia e Affari Costituzionali che ci hanno chiesto tempo fino al 2 marzo. Quindi per il 3 marzo noi daremo mandato al relatore e la Presidenza della Camera e i Gruppi potranno calendarizzare il testo per l’Aula.

Va però chiarito che anche se tale legge fosse stata già approvata, il caso-limite di Dj Fabo non avrebbe trovato soluzione. Perché, per quanto drammatica fosse la sua situazione, di suicidio si tratta, o di omicidio di persona consenziente, qualunque ne sia la ragione. E non di qualcosa che può essere disciplinato dalla sanità pubblica italiana. Non aveva organi vitali danneggiati, né patologie terminali, richiedeva un intervento attivo per porre fine alla sua vita, che altrimenti sarebbe continuata anche senza alcuni sostegni. E questo non è un aspetto contemplato dalla legge sulle DAT che stiamo esaminando.

Una legge che punta ad accompagnare con dignità al momento conclusivo della vita, a togliere la sofferenza, a evitare l’accanimento terapeutico ma anche l’abbandono terapeutico, e penso ai tanti anziani da sostenere, da non lasciare soli. E così anche le famiglie. Perché le persone vanno sostenute e accompagnate anche nell’indebolimento e nella cronicità, non vanno abbandonate. Gli anziani, tutti noi dipendiamo sempre di più dagli altri per le nostre cronicità ed è molto difficile stabilire per legge la soglia in base alla quale è legittimo chiedere di morire o di non morire, qual è il grado di sofferenza che rende la vita intollerabile perché dipende dalla cultura, dalla vita, dagli affetti, dalla religione, dagli amici, dagli incontri che si fanno. Ma anche dal dolore. E quindi c’è prima di tutto un dovere: eliminare il dolore e qui entra in campo la medicina palliativa, la sedazione profonda. Poi c’è la solitudine, la disperazione e questo è un problema della nostra società individualizzata. Poi ci sono le situazioni estreme, i casi diversi. Non si può ricondurre tutto a una casistica.

Occorre muoversi con delicatezza, tenendo conto di infinite variabili. Ma noi non possiamo per legge dire che ogni volta che siamo disperati, e quindi magari ci sembra troppo pesante la nostra vita, la legge lo deve rendere possibile e anche in una struttura pubblica.

La vicenda di Fabiano è dolorosa e, ripeto, merita rispetto ma c’è un elemento per me inquietante. Il farmaco con cui ha trovato la morte è il pentobarbital, uno dei tre utilizzati per le iniezioni letali negli Usa. E’ stato messo fuori legge diversi anni fa e la sua produzione, che avveniva in Italia, è stata bloccata grazie a una vittoria del nostro paese firmata dal governo italiano su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, mia personale e di Nessuno Tocchi Caino. Ci troviamo oggi di fronte al caso di un nuovo utilizzo di questo farmaco. Per noi che abbiamo portato avanti questa battaglia, vincendola, è qualcosa di paradossale.