Mario Marazziti - Pagina Ufficiale

Mario Marazziti - Pagina Ufficiale

venerdì 11 novembre 2016

Referendum costituzionale: A Roma Sì può



A Roma SI puo’. A Milano SI può. A Parma SI Può. A Messina SI può. Sono contento oggi parlare di questo referendum tirato di qua e di là. Che oscilla tra: “ma che gliene importa alla gente di questo referendum costituzionale con tutti i problemi “concreti” che ci stanno? e l’Armageddon, il Giudizio Finale, come se fosse l’Anno zero della post-democrazia e dell’ignoto. O semplicemente il tempo per dare una lezione a Renzi e a chi si vuole combattere, indipendentemente dal suo contenuto. Nel tempo della politica plebiscitaria, dei corpi intermedi deboli, dei partiti inconsistenti o fluidi, dei social media e delle leadership gridate è difficile farsi una idea, anche del merito.

L'adolescenza è una stagione stupenda della vita. Lo stato nascente. C'è un potenziale di cambiamento, di crescita, oggi. Tutti noi siamo stati adolescenti. Ma l’adolescenza è il tempo del NO. E mi sembra che il mondo e la politica siano attraversati tal tempo del "No". Mi sembra che davvero siamo in una fase di  adolescenza della politica, nel mondo, in Italia. Tutti noi sappiamo che per aiutare un adolescente a crescere molto spesso occorre contraddire quel "no", altrimenti si condanna ognuno di noi a restare piccolo. "No perché no", indipendentemente dalla ragione, da quello che fa davvero bene, da un quadro più vasto, dal merito delle questioni. L’adolescenza della politica attrae anche chi ha superato la propria età e talvolta il proprio tempo. E si dissimula dentro un NO di altri, come una occasione per sé. Per questo, mi sembra, si è creato un fronte del NO che unisce in questo da Casa Pound a leader famosi, nomi famosi, Berlusconi, D’Alema, con Grillo, Salvini, ritenuti avere più chance.
Per questo sono convintamente per il "SI". Penso che si può essere per il SI senza contrapposizioni violente. Possiamo essere per il SI’ perché vogliamo bene al mondo e alle persone che dicono "No", perché non accada che in maniera adolescenziale si rinunci a un futuro e si lasci tutto uguale anche se si è convinti di essere rivoluzionari perché ci si contrappone, perché si risponde male. Per evitare che i giovani, questa generazione si trovi incastrata in un immobilismo di cui non si ha neanche la percezione. Magari sotto le parole del cambiamento radicale e assoluto. Solo "no". E poi. il giorno dopo, come con la Brexit, ci si sveglia amaramente vedendo che possibilità, opportunità sono state depresse, messe in difficoltà, interrotte. Che si voleva una cosa e invece si è votato per un'altra. Davvero, sono e siamo per il SI per uscire da questa fase dell'adolescenza della politica e aiutare la nostra generazione e quella più giovane a crescere e a prendersi in maniera rispettosa il mondo, e non solo il piccolo pezzetto che si vede o si crede di capire dal punto di vista della propria piccola esperienza e del grande rumore attorno. Come la musica troppo forte.
Mi colpisce in queste settimane come il NO attraversi largamente la generazione dei più giovani. In nome della “salvezza della Costituzione più bella del mondo”, la cui parte davvero straordinaria e bella, la prima, i primi quattro articoli in particolare, rimane e rimane come chiave di tutto, da attuare in maniera efficace nella seconda parte, quella che è stata cambiata davanti a difficoltà sperimentate chiaramente negli ultimi 15, 20 anni. Mi colpisce perché niente riforma costituzionale vuol dire niente cambiamento. Non per un anno, ma per una generazione intera, visto che già venti sono passati. Sembra quasi contro natura, che in nome della paura, di un indistinto, la generazione più giovane possa dire NO a un cambiamento interessante, promettente. Questa è la situazione.
Bauman ha definito il voto a sorpresa per Trump: Un veleno venduto come antidoto”, come i messicani che hanno votato per lui quando è chiara la sua guerra contro i messicani. Ma nel tempo della paura e della democrazia plebiscitaria, dell’adolescenza della democrazia può accadere che si voti per senso di rivincita, in base alle voci metropolitane, alle paure diffuse al tempo giusto con la forza giusta. E’ un tempo dove l’insicurezza, la paura del futuro, il disorientamento della globalizzazione che arriva fino a noi spinge la generazione del cambiamento a preferire il no a qualunque cambiamento, non si sa mai. E a chiamarlo “cambiamento radicale”.
Quando decisi di provare a dare un mio contributo dal Parlamento, all’inizio del 2013, dopo avere detto di no più volte a incarichi rilevanti, perché desideravo continuare a cambiare il mondo gratis in chiave di inclusione sociale e di giustizia sociale, continuare a metter le persone al centro, mettere le periferie umane e urbane al centro, gratuitamente, come ho imparato a fare, vivere ed essere con la Comunità di Sant’Egidio, sembrava davvero l’Armageddon. Democrazia bloccata. HO deciso solo di provare a cambiare ambito di inizio per lo stesso lavoro e impegno. Dal parlamento, per la società civile:  sempre dalla parte e dalla società civile, perché davvero la democrazia mi sembrava bloccata. Venivamo dalle feste con il naso da maiale fatte con i soldi pubblici, da una legislatura che non aveva cambiato il “porcellum”, dai fallimenti di riforma costituzionale e, davvero, sembrava la fine della democrazia, pagata più cara dai più poveri.  Qualcuno, dalla società civile doveva pure dare il suo contributo, proprio per “cambiare”.
Non avevo mai fatto una campagna elettorale. Mi sono ripromesso in più di 90 incontri pubblici in un mese, di provare a essere diverso dalla politica che aveva allontanato troppi: e quindi di “non dire balle” quando incontravo persone nella mia funzione pubblica e di non promettere mai cose per cui – magari senza riuscirci – non mi sarei quantomeno battuto e impegnato. A distanza di quasi 4 anni penso di non essere mai venuto meno a questo, che è il minimo sindacale. Anche oggi, a partire da questo, voglio provare a entrare dentro il problema che il Paese e tutti noi stiamo vivendo. Allora, SI o NO?.
Penso che è difficile decidere nel grande rumore che si è creato. E’ difficile anche capire di che stiamo parlando. Se dovessi partire dalla mia esperienza internazionale, dagli incontri istituzionali avuti con delegazioni e da incontri, in Italia e altrove, con responsabili  giapponesi, tedeschi, cinesi, russi , canadesi, americani, la risposta sarebbe semplicemente. Certo che sì. Fuori dai confini pensano che la stabilità conquistata, che dà continuità e credibilità al percorso italiano, anche tra chi può essere critico, sia un bene di grande valore, da non sprecare, come un processo di riforme che –pure con pochi margini finanziari – tocca terreni vasti, che nel complesso sono un affresco: modernizzazione, digitalizzazione, riavvio di un welfare innovativo anche con risorse limitate, democrazia e diplomazia umanistica e umanitaria a livello internazionale, ripresa di una politica di cooperazione, affidabilità.  Capacità di riforma del sistema dopo 30 anni: e questa riforma costituzionale, che cambia il bicameralismo perfetto, nato dalla paura del dopoguerra del fascismo e del comunismo, fa diventare l’Italia più normale, visto che in Europa solo Polonia e Italia sono rimaste col bicameralismo “perfetto”.
E' bene ricordare da dove siamo partiti. Questa legislatura che nasceva da una bloccata, e da cui non è uscita una maggioranza chiara, ben definita. Lo sanno in pochi, ma abbiamo approvato più leggi e molte buone in questi tre anni che nell'intera legislatura precedente, votando il doppio delle volte, nonostante opposizioni più vaste, frastagliate. E mentre lavoravamo alla Riforma Costituzionale, in aggiunta. E' bene ricordare che questo è diventato presto, la riforma costituzionale, come quella elettorale che ancora può essere migliorata se c'è convergenza anche di forze dell'opposizione, il mandato principale della legislatura. Mentre andava e va rilanciato il Paese, combattuto il declino, ricreato il lavoro, riavvicinato i servizi sociali ai bisogni, ma "dovevamo" lavorare alla Riforma. E ci siamo riusciti.
Bisogna ricordare che questa legislatura è nata con la difficoltà a eleggere il presidente della Repubblica e a formare una maggioranza. Anche perché era una elezione, quella del presidente della Repubblica e di inizio legislatura, la prima al tempo dei "social media". Non era vero che "non si riusciva a eleggere il Presidente". 8, 9 votazioni, non sono tante nella storia d'Italia. A volte ce ne sono volute il doppi. Ma venivano bruciati i nomi prima che se ne discutesse davvero dall'interno delle riunioni di ciascuno gruppo parlamentare appena eletto, appena con un tweet, con un sms, rimbalzato su Facebook o un'agenzia. E si era creata una narrazione, quella dei social media e del MoVimento 5Stelle, che descriveva il tutto, quello che accadeva in Parlamento, come se si trattasse di un colpo di stato del palazzo e dall'altra parte il "popolo". Erano poche centinaia di persone, ma cresceva nei media e nei social media questa angoscia e quell'ansia, tutta infondata, che ha portato all'accettazione del presidente Napolitano per la seconda volta. A condizione che facessimo un lavoro urgente per la riforma del sistema, Costituzionale, per rendere il Parlamento più efficiente, ed elettorale. Che ci si sia riusciti sembra quasi un miracolo. Per questo è irresponsabile e fa parte del rumore adolescenziale, oggi, il tentativo di squalificare tutto questo, mai entrando davvero nel merito. 
Voglio anche dire che la democrazia dei social media, plebiscitaria, internettiana, la trovo radicalmente escludente. Esclude a priori chi ha la voce bassa, il venti per cento della popolazione italiana che è fatta di anziani, il 50 per cento dell'Italia che i social media non li usa. La chiamano democrazia diretta, è esclusione diretta di metà degli italiani. Può essere un aiuto, se si accompagna ad altro. Oggi non lo è, perché amplifica campioni non rappresentativi e li fa diventare il pensiero della maggioranza. L’aveva intuito già Tocqueville ne “La Democrazia in America”, prima della radio, della televisione, di internet. Oggi i social media amplificano campioni non rappresentativi, 10, 1000, 20 mila click e li fanno essere maggioranza, nella rappresentazione. Fino a poter diventare maggioranze per l’impossibilità di altre voci ad avere lo stesso spazio.
Accade in sanità, dove si è sparso un pensiero antiscientifico. Come quello che ha tenuto due anni l’Italia divisa sulla cura “Stamina”, come se si negasse la vita e la speranza ai malati terminali, quando non è una cura, non è sicura, è una fonte di speculazione e sfruttamento. Come il pensiero antiscientifico che ha collegato l’autismo alle vaccinazioni, dall’America all’Europa, fino a vedere in Italia calare in alcune aree sotto il 95 per cento e sotto il 90 per cento il numero dei bambini e delle persone vaccinate, riaprendo il rischio in malattie come morbillo, poliomielite, altre. Chi non vaccina non danneggia solo il proprio figlio, ma anche e soprattutto i figli degli altri, riducendo la protezione generale. Milioni di persone pensano che invece è giusto non vaccinare. Ma è davvero sbagliato. Accade qualcosa di analogo in tutto il dibattito politico. Lo capiamo meglio quando si parla di immigrati, quanto sia falsa la posizione di chi dice, davanti a chi muore nel Mediterraneo o è respinto: aiutiamoli a casa loro. Quale casa? Quale paesi, con stati implosi? Lo si capisce meno nel resto del dibattito politico. E su questo referendum. Si è creata una vulgata metropolitana, spesso infondata, che utilizza anche un legittimo disagio personale, un fastidio, o una legittima antipatia per iniziative governative o antigovernative, singoli esponenti, linguaggio. Ma sono in gioco anche molte altre cose, oltre le antipatie.
En passant voglio ricordare che anche nel caso il nuovo Senato decidesse di intervenire su una materia che non transita naturalmente per il Senato, dopo la riforma, avrebbe 10 giorni per chiedere di esaminare la legge e 30 giorni per proporre modifiche. Oggi l’importante leggi sui delitti contro l’ambiente è stata al Senato 447 giorni. La legge sulla cittadinanza, che contiene lo ius soli temperato e lo ius culturae, che incarna una battaglia legislativa e culturale portata avanti dalla Comunità di Sant’Egidio, anche da chi parla, di 15 anni, l’abbiamo approvata alla Camera il 13 ottobre 2015 e sono 400 giorni da quando la aspettiamo per l’approvazione finale dal Senato.
Ma vorrei, fuori dal rumore e dalla confusione provare a dire di che si tratta e perché il SI è il passaggio minimale per ridurre le disuguaglianze e il disagio in Italia e per non indebolire il ruolo che l’Italia ha nel faticoso passaggio di ripensamento dell’Europa e nel prossimo passaggio che vede l’Italia nel Consiglio di sicurezza ONU. Sarebbe irresponsabile arrivarci depotenziati.
In maniera asciutta. Ci sono molte leggende metropolitane e internettiane su questa riforma costituzionale. 
-Che non è stata discussa abbastanza. Vi assicuro che 6 votazioni ed esami d’aula hanno visto più interventi ed emendamenti che all’Assemblea Costituente. E che, nonostante vicende politiche complesse al Senato i voti sono sempre stati ampiamente oltre la maggioranza assoluta dei votanti, 183, 179, 180 e alla Camera 357, 367, 361, e di nuovo 361. Più, sempre, del PD, della maggioranza, anche quando la maggioranza è cambiata. Lo sa bene Maria Elena Boschi che ha lavorato più di tutti a una sintesi che sembrava impossibile in un Parlamento così conflittuale.
"Con tutte le nostre critiche e riserve oggi esprimiamo un voto a favore della riforma. Siamo consapevoli che la bocciatura di questo testo nell'ultimo passaggio alla Camera segnerebbe quasi certamente il fallimento di una stagione trentennale durante la quale a più riprese, e con diversi protagonisti, si è cercato di riformare la parte ordinamentale della Carta. Un epilogo simile scaverebbe un solco ancora più profondo tra l'opinione pubblica e le istituzioni". 
Dicevano all’indomani del voto finale Gianni Cuperlo, Roberto Speranza e Lo Giudice, ma una parte di loro è oggi una parte del coro del no. Come l’intera Forza Italia, che ha votato contro il testo identico che aveva già votato a favore al Senato prima della nomina del presidente Mattarella, per rappresaglia.
Molti di quelli che hanno votato a favore del testo della nuova Costituzione o che non hanno ritenuto di dover ostacolare, come M5S, sono contro. Il merito della Costituzione ha poco a che vedere con tutto questo. Riconosco al presidente del consiglio Renzi il coraggio di dire di avere sbagliato a personalizzare una riforma che il Parlamento ha fatto interamente sua, fino a cambiare il testo iniziale in punti decisivi.
Ma siccome la battaglia è politica, politicamente non posso negare a me stesso che mi imbarazza vedere uno schieramento che unisce, per bloccare quello che è stato approvato a larga maggioranza, Salvini, Berlusconi, D’Alema, M5S, FdI, m anche pezzi di sinistra e di PD che, in uno strano anno della misericordia, camminano e si alleano con chi ieri pensavano fosse diabolico.
Tante favole per sostenere questo: - che la riforma è illegale perché eletta da un Parlamento nato da una legge dichiarata incostituzionale. Ma la Corte ha chiarito che gli atti sono tutti legittimi, e la legge elettorale andrà riformata ulteriormente, se c’è un accordo tra chi vuole cambiarla, anche il nuovo Italicum. – Che il presidente del Consiglio non viene eletto dal popolo quando dal dopoguerra non è eletto dal popolo ed è sempre, in Italia, il Capo dello Stato a incaricarlo: ma si perde, nel rumore, la memoria. Si dice ancora: - Una riforma approvata a colpi di fiducia. Invece mai è stata chiesta dal governo la fiducia in nessuno dei sei passaggi alla Camera e al Senato. – che si può eleggere il presidente della repubblica solo con i voti della maggioranza. Ma i voti necessari, con la riforma, a seconda delle votazioni, variano da un minimo di 487 a 438 e sempre servono almeno i 3/5 dei voti effettivi. Perché l’opposizione non dovrebbe votare per permettere proprio quello che si teme? Anche in un Parlamento come quello attuale, dove il partito di maggioranza ha 340 deputati e avrebbe con i dati del passato 55 senatori, non si arriverebbe a più di 395 voti, con molti ancora mancanti.
Ma vorrei concludere con due osservazioni. Una di memoria storica e una su una ragione concreta per la quale penso che sia importante questa riforma costituzionale, per le stesse ragioni per cui ho iniziato questa esperienza parlamentare, e che è lottare in maniera concreta, più efficace, contro le disuguaglianze.
La prima osservazione, storica. Mi sembra una risposta a quanti, innamorati o tatticamente desiderosi di una vittoria del no oggi difendono la Costituzione integrale, come, come se si trattasse di una icona da non toccare, quasi si facesse sacrilegio. E’ un sentimento che è diffuso anche da chi teorizza una democrazia diretta che ha per obiettivo lo scardinamento della democrazia parlamentare, e tende a preferire una democrazia plebiscitaria, senza copri intermedi, magari una democrazia in layout di sola lettura, in formato PDF. Ma nel frattempo rigidi difensori del non cambiare niente. Ed è un sentimento e una cattiva informazione diffusa da quanti hanno per obiettivo, nel bene o nel male, Matteo Renzi e meno la sfida di lottare contro le disuguaglianze attraverso un senso di comunità nazionale e di destino comune. Come se una conflittualità permanente possa essere all’infinito e non indebolire chi è già più debole, interrompendo anche percorsi di riforme importanti.
Già alla Costituente c’è stata grande incertezza tra monocameralismo, bicameralismo differenziato e bicameralismo perfetto. La stupenda prima parte della Costituzione e i primi tre articoli in particolare sono la chiave che orienta tutto il resto e rimangono vincolanti. Una repubblica fondata sul lavoro. E sulla solidarietà sociale. E è compito della Repubblica rimuover gli ostacoli alla partecipazione politica, all’inclusione economica e sociale, allo sviluppo e alla dignità della persona umana.
Ma a lungo si è pensato a un Senato delle rappresentanze e delle forze sociali, come Aldo Moro prefigurava, o delle autonomie e delle differenze locali, ma le regioni non esistevano come entità, o delle rappresentanze professionali, ma era troppo vicina la memoria della Camera delle corporazioni. I costituenti sono stati incerti a lungo tra un Senato delle Autonomie territoriali o dei corpi intermedi, dopo una fase più giacobina, del primo anno di lavori, in cui c’era una preferenza per il monocameralismo. Interrotta nel ’47 dalla fine del governo di unità nazionale. E’ così che con gli articoli 55 e seguenti si è arrivati al “compromesso infelice” e al bicameralismo perfetto, non voluto da nessuno in particolare, ma frutto di compromesso..
Questa parte della Costituzione  ha visto molti tentativi di cambiamento e dal ’93 a oggi già cinque volte è stata cambiata, con più o meno successo. Questo vuol dire che non è l’Armageddon, che tutto si può cambiare o migliorare: nel 93 il quorum del 65 per cento,nel 95 la riforma elettorale delle regioni, nel 98 l’elezione diretta del sindaco, nel 99 l’elezione diretta della presidenza della regione e l’autonomia sanitaria, fino alla riforma del 2001 e al Titolo V come è in vigore oggi e come con questa riforma del Senato e della Costituzione cambiamo.
Potrei dire molte cose. Come è falso che la Costituzione niente è stata approvata a suffragio universale e questa no. Che è surreale che circoli l’idea del “complotto” e che ci sia una norma nascosta che subordina la sovranità nazionale all’UE, quando l’unica parola cambiata, nel punto che lo riguarda, è la sostituzione delle parole “comunità europea” con quelle più tecniche “Unione Europea”, o che sia stata la banca di affari J.P. Morgan a dettare la necessità di cambiare la Costituzione italiana. Semmai, mi preoccupa che in tanti possano credere a questo. Come chi pensa che “gli stranieri ci rubano il lavoro”, “prima noi e poi loro”.
Questa riforma, in un Parlamento a maggioranza mobile e difficile, ha discusso con oltre 4000 interventi questa riforma e il testo iniziale è stato cambiato in più di 100 punti. Un testo non perfetto, anche per questo. Ma quasi un miracolo, nella situazione data. Non mi soffermo sui cambiamenti principali. Ma su uno, almeno, per me, spero per noi, importante, al di là di ogni altra considerazione.
 Concludo proprio su questo. Penso che basta l’intervento sul Titolo V, l’articolo 117 della Riforma Costituzionale per darmi le ragioni del SI, se non bastasse il resto. Se non bastasse che vorrebbe bon ton e buon senso che i sostenitori del NO avessero chiesto il referendum abrogativo, invece non l’hanno fatto.
L’Italia, il mondo occidentale, rischia di morire di disuguaglianze, mentre cresce la ricchezza prodotta. E’ uno dei problemi dei populismi e degli egoismi contemporanei, fino ai voti fluttuanti, imprevisti, carichi di “no” indipendente da tutto, che hanno portato a una non voluta Brexit e alla sorpresa mondiale del nuovo presidente americano.
Nella mia esperienza di presidente della Commissione Affari Sociali – e Salute – della Camera vi posso dire che l’art. 117 che riporta al centro e non nella disponibilità prevalente delle Regioni, come materia concorrenziale, materie-chiave come la disciplina del lavoro, la sicurezza alimentare, l’energia, il commercio con l’estero, i beni paesaggistici, ma soprattutto, salute, istruzione e sociale è il punto di partenza per rimediare a una crescita della disuguaglianza in Italia che coincide proprio con una cattiva applicazione del Titolo V e di un federalismo non solidale ma egoista o miope, come si è affermato dal 2001.
Due dati semplici. Davvero 21 sanità in Italia, un servizio sanitario nazionale che con meno posti letto e un bilancio contenuto rimane l’esempio più compiuto di Servizio Sanitario Nazionale  Universalistico mondiale, però con squilibri interni e disuguaglianze enormi. Risultati nell’aspettativa di vita che collocano l’Italia al secondo posto mondiale, e dipende anche dall’intero sistema salute, nonostante il numero più ridotto di posti ospedalieri rispetto a paesi cugini europei e poi la lista delle disuguaglianze, alcune inquietanti. 45 parti cesarei in Campania e 14 in Trentino, ricoveri ospedalieri per malattie acute 2,2 % in Campania e il doppio in Puglia, spesa sanitaria pro capite di 1724 euro in Calabria e di 2160 in Val d’Aosta. Ma ancor più differenze nella spesa sociale: 77 euro a persona in Sicilia, 277 in Val d’Aosta, 167 in Emilia, 122 in Lombardia, 47 in Campania e 27 in Calabria. Farmaci salvavita dati gratuitamente in una Regione e gli stessi farmaci non forniti in un’altra. E’ inaccettabile. 
Penso che senza questa riforma costituzionale la battaglia per l’uguaglianza in Italia rischia di diventare impossibile o troppo in salita.
Allora, con allegria, sì. Ma occorre dirlo agli altri. Non è la fine del mondo. Ma può essere l’inizio e la continuazione di un mondo un po’ meno ingiusto.