A Roma SI puo’. A Milano SI
può. A Parma SI Può. A Messina SI può. Sono contento oggi parlare di questo
referendum tirato di qua e di là. Che oscilla tra: “ma che gliene importa alla
gente di questo referendum costituzionale con tutti i problemi “concreti” che
ci stanno? e l’Armageddon, il Giudizio Finale, come se fosse l’Anno zero della
post-democrazia e dell’ignoto. O semplicemente il tempo per dare una lezione a
Renzi e a chi si vuole combattere, indipendentemente dal suo contenuto. Nel
tempo della politica plebiscitaria, dei corpi intermedi deboli, dei partiti
inconsistenti o fluidi, dei social media e delle leadership gridate è difficile
farsi una idea, anche del merito.
L'adolescenza è una stagione
stupenda della vita. Lo stato nascente. C'è un potenziale di cambiamento, di
crescita, oggi. Tutti noi siamo stati adolescenti. Ma l’adolescenza è il tempo
del NO. E mi sembra che il mondo e la politica siano attraversati tal
tempo del "No". Mi sembra che davvero siamo in una fase di
adolescenza della politica, nel mondo, in Italia. Tutti noi sappiamo che
per aiutare un adolescente a crescere molto spesso occorre contraddire quel
"no", altrimenti si condanna ognuno di noi a restare piccolo.
"No perché no", indipendentemente dalla ragione, da quello che fa
davvero bene, da un quadro più vasto, dal merito delle questioni. L’adolescenza
della politica attrae anche chi ha superato la propria età e talvolta il
proprio tempo. E si dissimula dentro un NO di altri, come una occasione per sé.
Per questo, mi sembra, si è creato un fronte del NO che unisce in questo da
Casa Pound a leader famosi, nomi famosi, Berlusconi, D’Alema, con Grillo,
Salvini, ritenuti avere più chance.
Per questo sono convintamente
per il "SI". Penso che si può essere per il SI senza contrapposizioni
violente. Possiamo essere per il SI’ perché vogliamo bene al mondo e alle
persone che dicono "No", perché non accada che in maniera
adolescenziale si rinunci a un futuro e si lasci tutto uguale anche se si è
convinti di essere rivoluzionari perché ci si contrappone, perché si risponde
male. Per evitare che i giovani, questa generazione si trovi incastrata in un
immobilismo di cui non si ha neanche la percezione. Magari sotto le parole del
cambiamento radicale e assoluto. Solo "no". E poi. il giorno dopo, come
con la Brexit, ci si sveglia amaramente vedendo che possibilità, opportunità
sono state depresse, messe in difficoltà, interrotte. Che si voleva una cosa e
invece si è votato per un'altra. Davvero, sono e siamo per il SI per uscire da
questa fase dell'adolescenza della politica e aiutare la nostra generazione e
quella più giovane a crescere e a prendersi in maniera rispettosa il mondo, e
non solo il piccolo pezzetto che si vede o si crede di capire dal punto di
vista della propria piccola esperienza e del grande rumore attorno. Come la
musica troppo forte.
Mi colpisce in queste settimane
come il NO attraversi largamente la generazione dei più giovani. In nome della
“salvezza della Costituzione più bella del mondo”, la cui parte davvero
straordinaria e bella, la prima, i primi quattro articoli in particolare,
rimane e rimane come chiave di tutto, da attuare in maniera efficace nella
seconda parte, quella che è stata cambiata davanti a difficoltà sperimentate
chiaramente negli ultimi 15, 20 anni. Mi colpisce perché niente riforma
costituzionale vuol dire niente cambiamento. Non per un anno, ma per una
generazione intera, visto che già venti sono passati. Sembra quasi contro
natura, che in nome della paura, di un indistinto, la generazione più giovane
possa dire NO a un cambiamento interessante, promettente. Questa è la
situazione.
Bauman ha definito il voto a
sorpresa per Trump: Un veleno venduto come antidoto”, come i messicani che
hanno votato per lui quando è chiara la sua guerra contro i messicani. Ma nel
tempo della paura e della democrazia plebiscitaria, dell’adolescenza della
democrazia può accadere che si voti per senso di rivincita, in base alle voci
metropolitane, alle paure diffuse al tempo giusto con la forza giusta. E’ un
tempo dove l’insicurezza, la paura del futuro, il disorientamento della
globalizzazione che arriva fino a noi spinge la generazione del cambiamento a
preferire il no a qualunque cambiamento, non si sa mai. E a chiamarlo
“cambiamento radicale”.
Quando decisi di provare a dare
un mio contributo dal Parlamento, all’inizio del 2013, dopo avere detto di no
più volte a incarichi rilevanti, perché desideravo continuare a
cambiare il mondo gratis in chiave di inclusione sociale e di giustizia
sociale, continuare a metter le persone al centro, mettere le periferie umane e
urbane al centro, gratuitamente, come ho imparato a fare, vivere ed essere con
la Comunità di Sant’Egidio, sembrava davvero l’Armageddon. Democrazia bloccata.
HO deciso solo di provare a cambiare ambito di inizio per lo stesso lavoro e
impegno. Dal parlamento, per la società civile: sempre dalla parte e dalla società civile,
perché davvero la democrazia mi sembrava bloccata. Venivamo dalle feste con il
naso da maiale fatte con i soldi pubblici, da una legislatura che non aveva cambiato
il “porcellum”, dai fallimenti di riforma costituzionale e, davvero, sembrava
la fine della democrazia, pagata più cara dai più poveri. Qualcuno, dalla società civile doveva pure
dare il suo contributo, proprio per “cambiare”.
Non avevo mai fatto una
campagna elettorale. Mi sono ripromesso in più di 90 incontri pubblici in un
mese, di provare a essere diverso dalla politica che aveva allontanato troppi:
e quindi di “non dire balle” quando incontravo persone nella mia funzione
pubblica e di non promettere mai cose per cui – magari senza riuscirci – non mi
sarei quantomeno battuto e impegnato. A distanza di quasi 4 anni penso di non
essere mai venuto meno a questo, che è il minimo sindacale. Anche oggi, a
partire da questo, voglio provare a entrare dentro il problema che il Paese e
tutti noi stiamo vivendo. Allora, SI o NO?.
Penso che è difficile decidere
nel grande rumore che si è creato. E’ difficile anche capire di che stiamo
parlando. Se dovessi partire dalla mia esperienza internazionale, dagli incontri
istituzionali avuti con delegazioni e da incontri, in Italia e altrove, con
responsabili giapponesi,
tedeschi, cinesi, russi , canadesi, americani, la risposta sarebbe
semplicemente. Certo che sì. Fuori dai confini pensano che la stabilità conquistata,
che dà continuità e credibilità al percorso italiano, anche tra chi può essere
critico, sia un bene di grande valore, da non sprecare, come un processo di
riforme che –pure con pochi margini finanziari – tocca terreni vasti, che nel
complesso sono un affresco: modernizzazione, digitalizzazione, riavvio di un
welfare innovativo anche con risorse limitate, democrazia e diplomazia
umanistica e umanitaria a livello internazionale, ripresa di una politica di
cooperazione, affidabilità. Capacità
di riforma del sistema dopo 30 anni: e questa riforma costituzionale, che
cambia il bicameralismo perfetto, nato dalla paura del dopoguerra del fascismo
e del comunismo, fa diventare l’Italia più normale, visto che in Europa solo
Polonia e Italia sono rimaste col bicameralismo “perfetto”.
E' bene ricordare da dove siamo
partiti. Questa legislatura che nasceva da una bloccata, e da cui non è uscita
una maggioranza chiara, ben definita. Lo sanno in pochi, ma abbiamo approvato
più leggi e molte buone in questi tre anni che nell'intera legislatura
precedente, votando il doppio delle volte, nonostante opposizioni più vaste,
frastagliate. E mentre lavoravamo alla Riforma Costituzionale, in aggiunta. E'
bene ricordare che questo è diventato presto, la riforma costituzionale, come
quella elettorale che ancora può essere migliorata se c'è convergenza anche di
forze dell'opposizione, il mandato principale della legislatura. Mentre andava
e va rilanciato il Paese, combattuto il declino, ricreato il lavoro,
riavvicinato i servizi sociali ai bisogni, ma "dovevamo" lavorare
alla Riforma. E ci siamo riusciti.
Bisogna ricordare che questa
legislatura è nata con la difficoltà a eleggere il presidente della Repubblica
e a formare una maggioranza. Anche perché era una elezione, quella del
presidente della Repubblica e di inizio legislatura, la prima al tempo dei
"social media". Non era vero che "non si riusciva a eleggere il
Presidente". 8, 9 votazioni, non sono tante nella storia d'Italia. A volte
ce ne sono volute il doppi. Ma venivano bruciati i nomi prima che se ne
discutesse davvero dall'interno delle riunioni di ciascuno gruppo parlamentare
appena eletto, appena con un tweet, con un sms, rimbalzato su Facebook o
un'agenzia. E si era creata una narrazione, quella dei social media e del
MoVimento 5Stelle, che descriveva il tutto, quello che accadeva in Parlamento,
come se si trattasse di un colpo di stato del palazzo e dall'altra parte il
"popolo". Erano poche centinaia di persone, ma cresceva nei media e
nei social media questa angoscia e quell'ansia, tutta infondata, che ha portato
all'accettazione del presidente Napolitano per la seconda volta. A condizione
che facessimo un lavoro urgente per la riforma del sistema, Costituzionale, per
rendere il Parlamento più efficiente, ed elettorale. Che ci si
sia riusciti sembra quasi un miracolo. Per questo è irresponsabile e fa
parte del rumore adolescenziale, oggi, il tentativo di squalificare tutto
questo, mai entrando davvero nel merito.
Voglio anche dire che la
democrazia dei social media, plebiscitaria, internettiana, la trovo
radicalmente escludente. Esclude a priori chi ha la voce bassa, il venti per
cento della popolazione italiana che è fatta di anziani, il 50 per cento
dell'Italia che i social media non li usa. La chiamano democrazia diretta, è
esclusione diretta di metà degli italiani. Può essere un aiuto, se si
accompagna ad altro. Oggi non lo è, perché amplifica campioni non
rappresentativi e li fa diventare il pensiero della maggioranza. L’aveva
intuito già Tocqueville ne “La Democrazia in America”, prima della radio, della
televisione, di internet. Oggi i social media amplificano campioni non
rappresentativi, 10, 1000, 20 mila click e li fanno essere maggioranza, nella
rappresentazione. Fino a poter diventare maggioranze per l’impossibilità di
altre voci ad avere lo stesso spazio.
Accade in sanità, dove si è
sparso un pensiero antiscientifico. Come quello che ha tenuto due anni l’Italia
divisa sulla cura “Stamina”, come se si negasse la vita e la speranza ai malati
terminali, quando non è una cura, non è sicura, è una fonte di speculazione e
sfruttamento. Come il pensiero antiscientifico che ha collegato l’autismo alle
vaccinazioni, dall’America all’Europa, fino a vedere in Italia calare in alcune
aree sotto il 95 per cento e sotto il 90 per cento il numero dei bambini e
delle persone vaccinate, riaprendo il rischio in malattie come morbillo,
poliomielite, altre. Chi non vaccina non danneggia solo il proprio figlio, ma
anche e soprattutto i figli degli altri, riducendo la protezione generale.
Milioni di persone pensano che invece è giusto non vaccinare. Ma è davvero
sbagliato. Accade qualcosa di analogo in tutto il dibattito politico. Lo
capiamo meglio quando si parla di immigrati, quanto sia falsa la posizione di
chi dice, davanti a chi muore nel Mediterraneo o è respinto: aiutiamoli a casa
loro. Quale casa? Quale paesi, con stati implosi? Lo si capisce meno nel resto
del dibattito politico. E su questo referendum. Si è creata una vulgata
metropolitana, spesso infondata, che utilizza anche un legittimo disagio
personale, un fastidio, o una legittima antipatia per iniziative governative o
antigovernative, singoli esponenti, linguaggio. Ma sono in gioco anche molte
altre cose, oltre le antipatie.
En passant voglio ricordare che
anche nel caso il nuovo Senato decidesse di intervenire su una materia che non
transita naturalmente per il Senato, dopo la riforma, avrebbe 10 giorni per
chiedere di esaminare la legge e 30 giorni per proporre modifiche. Oggi
l’importante leggi sui delitti contro l’ambiente è stata al Senato 447 giorni.
La legge sulla cittadinanza, che contiene lo ius soli temperato e lo ius
culturae, che incarna una battaglia legislativa e culturale portata avanti
dalla Comunità di Sant’Egidio, anche da chi parla, di 15 anni, l’abbiamo
approvata alla Camera il 13 ottobre 2015 e sono 400 giorni da quando la
aspettiamo per l’approvazione finale dal Senato.
Ma vorrei, fuori dal rumore e
dalla confusione provare a dire di che si tratta e perché il SI è il passaggio
minimale per ridurre le disuguaglianze e il disagio in Italia e per non
indebolire il ruolo che l’Italia ha nel faticoso passaggio di ripensamento
dell’Europa e nel prossimo passaggio che vede l’Italia nel Consiglio di
sicurezza ONU. Sarebbe irresponsabile arrivarci depotenziati.
In maniera asciutta. Ci sono
molte leggende metropolitane e internettiane su questa riforma costituzionale.
-Che non è stata discussa abbastanza. Vi assicuro che 6 votazioni ed esami d’aula hanno visto più interventi ed emendamenti che all’Assemblea Costituente. E che, nonostante vicende politiche complesse al Senato i voti sono sempre stati ampiamente oltre la maggioranza assoluta dei votanti, 183, 179, 180 e alla Camera 357, 367, 361, e di nuovo 361. Più, sempre, del PD, della maggioranza, anche quando la maggioranza è cambiata. Lo sa bene Maria Elena Boschi che ha lavorato più di tutti a una sintesi che sembrava impossibile in un Parlamento così conflittuale.
-Che non è stata discussa abbastanza. Vi assicuro che 6 votazioni ed esami d’aula hanno visto più interventi ed emendamenti che all’Assemblea Costituente. E che, nonostante vicende politiche complesse al Senato i voti sono sempre stati ampiamente oltre la maggioranza assoluta dei votanti, 183, 179, 180 e alla Camera 357, 367, 361, e di nuovo 361. Più, sempre, del PD, della maggioranza, anche quando la maggioranza è cambiata. Lo sa bene Maria Elena Boschi che ha lavorato più di tutti a una sintesi che sembrava impossibile in un Parlamento così conflittuale.
"Con tutte le nostre
critiche e riserve oggi esprimiamo un voto a favore della riforma. Siamo
consapevoli che la bocciatura di questo testo nell'ultimo passaggio alla Camera
segnerebbe quasi certamente il fallimento di una stagione trentennale durante
la quale a più riprese, e con diversi protagonisti, si è cercato di riformare
la parte ordinamentale della Carta. Un epilogo simile scaverebbe un solco
ancora più profondo tra l'opinione pubblica e le istituzioni".
Dicevano all’indomani del
voto finale Gianni Cuperlo, Roberto Speranza e Lo Giudice, ma una parte di loro
è oggi una parte del coro del no. Come l’intera Forza Italia, che ha votato
contro il testo identico che aveva già votato a favore al Senato prima della
nomina del presidente Mattarella, per rappresaglia.
Molti di quelli che hanno
votato a favore del testo della nuova Costituzione o che non hanno ritenuto di
dover ostacolare, come M5S, sono contro. Il merito della Costituzione ha poco a
che vedere con tutto questo. Riconosco al presidente del consiglio Renzi il
coraggio di dire di avere sbagliato a personalizzare una riforma che il
Parlamento ha fatto interamente sua, fino a cambiare il testo iniziale in punti
decisivi.
Ma siccome la battaglia è
politica, politicamente non posso negare a me stesso che mi imbarazza vedere
uno schieramento che unisce, per bloccare quello che è stato approvato a larga
maggioranza, Salvini, Berlusconi, D’Alema, M5S, FdI, m anche pezzi di sinistra
e di PD che, in uno strano anno della misericordia, camminano e si alleano con
chi ieri pensavano fosse diabolico.
Tante favole per sostenere
questo: - che la riforma è illegale perché eletta da un Parlamento nato da una
legge dichiarata incostituzionale. Ma la Corte ha chiarito che gli atti sono
tutti legittimi, e la legge elettorale andrà riformata ulteriormente, se c’è un
accordo tra chi vuole cambiarla, anche il nuovo Italicum. – Che il presidente
del Consiglio non viene eletto dal popolo quando dal dopoguerra non è eletto
dal popolo ed è sempre, in Italia, il Capo dello Stato a incaricarlo: ma si
perde, nel rumore, la memoria. Si dice ancora: - Una riforma approvata a colpi
di fiducia. Invece mai è stata chiesta dal governo la fiducia in nessuno dei
sei passaggi alla Camera e al Senato. – che si può eleggere il presidente della
repubblica solo con i voti della maggioranza. Ma i voti necessari, con la
riforma, a seconda delle votazioni, variano da un minimo di 487 a 438 e sempre
servono almeno i 3/5 dei voti effettivi. Perché l’opposizione non dovrebbe
votare per permettere proprio quello che si teme? Anche in un Parlamento come
quello attuale, dove il partito di maggioranza ha 340 deputati e avrebbe con i
dati del passato 55 senatori, non si arriverebbe a più di 395 voti, con molti
ancora mancanti.
Ma vorrei concludere con due
osservazioni. Una di memoria storica e una su una ragione concreta per la quale
penso che sia importante questa riforma costituzionale, per le stesse ragioni
per cui ho iniziato questa esperienza parlamentare, e che è lottare in maniera
concreta, più efficace, contro le disuguaglianze.
La prima osservazione, storica.
Mi sembra una risposta a quanti, innamorati o tatticamente desiderosi di una
vittoria del no oggi difendono la Costituzione integrale, come, come se si
trattasse di una icona da non toccare, quasi si facesse sacrilegio. E’ un
sentimento che è diffuso anche da chi teorizza una democrazia diretta che ha
per obiettivo lo scardinamento della democrazia parlamentare, e tende a
preferire una democrazia plebiscitaria, senza copri intermedi, magari una
democrazia in layout di sola lettura, in formato PDF. Ma nel frattempo rigidi
difensori del non cambiare niente. Ed è un sentimento e una cattiva
informazione diffusa da quanti hanno per obiettivo, nel bene o nel male, Matteo
Renzi e meno la sfida di lottare contro le disuguaglianze attraverso un senso
di comunità nazionale e di destino comune. Come se una conflittualità
permanente possa essere all’infinito e non indebolire chi è già più debole,
interrompendo anche percorsi di riforme importanti.
Già alla Costituente c’è stata
grande incertezza tra monocameralismo, bicameralismo differenziato e
bicameralismo perfetto. La stupenda prima parte della Costituzione e i primi
tre articoli in particolare sono la chiave che orienta tutto il resto e
rimangono vincolanti. Una repubblica fondata sul lavoro. E sulla solidarietà
sociale. E è compito della Repubblica rimuover gli ostacoli alla partecipazione
politica, all’inclusione economica e sociale, allo sviluppo e alla dignità
della persona umana.
Ma a lungo si è pensato a un Senato
delle rappresentanze e delle forze sociali, come Aldo Moro prefigurava, o delle
autonomie e delle differenze locali, ma le regioni non esistevano come entità,
o delle rappresentanze professionali, ma era troppo vicina la memoria della
Camera delle corporazioni. I costituenti sono stati incerti a lungo tra un
Senato delle Autonomie territoriali o dei corpi intermedi, dopo una fase più
giacobina, del primo anno di lavori, in cui c’era una preferenza per il
monocameralismo. Interrotta nel ’47 dalla fine del governo di unità nazionale.
E’ così che con gli articoli 55 e seguenti si è arrivati al “compromesso
infelice” e al bicameralismo perfetto, non voluto da nessuno in particolare, ma
frutto di compromesso..
Questa parte della
Costituzione ha visto molti
tentativi di cambiamento e dal ’93 a oggi già cinque volte è stata cambiata,
con più o meno successo. Questo vuol dire che non è l’Armageddon, che tutto si
può cambiare o migliorare: nel 93 il quorum del 65 per cento,nel 95 la riforma
elettorale delle regioni, nel 98 l’elezione diretta del sindaco, nel 99
l’elezione diretta della presidenza della regione e l’autonomia sanitaria, fino
alla riforma del 2001 e al Titolo V come è in vigore oggi e come con questa
riforma del Senato e della Costituzione cambiamo.
Potrei dire molte cose. Come è
falso che la Costituzione niente è stata approvata a suffragio universale e
questa no. Che è surreale che circoli l’idea del “complotto” e che ci sia una
norma nascosta che subordina la sovranità nazionale all’UE, quando l’unica
parola cambiata, nel punto che lo riguarda, è la sostituzione delle parole
“comunità europea” con quelle più tecniche “Unione Europea”, o che sia stata la
banca di affari J.P. Morgan a dettare la necessità di cambiare la Costituzione
italiana. Semmai, mi preoccupa che in tanti possano credere a questo. Come chi
pensa che “gli stranieri ci rubano il lavoro”, “prima noi e poi loro”.
Questa riforma, in un
Parlamento a maggioranza mobile e difficile, ha discusso con oltre 4000
interventi questa riforma e il testo iniziale è stato cambiato in più di 100
punti. Un testo non perfetto, anche per questo. Ma quasi un miracolo, nella
situazione data. Non mi soffermo sui cambiamenti principali. Ma su uno, almeno,
per me, spero per noi, importante, al di là di ogni altra considerazione.
Concludo proprio su questo. Penso che basta
l’intervento sul Titolo V, l’articolo 117 della Riforma Costituzionale per
darmi le ragioni del SI, se non bastasse il resto. Se non bastasse che vorrebbe
bon ton e buon senso che i sostenitori del NO avessero chiesto il referendum
abrogativo, invece non l’hanno fatto.
L’Italia, il mondo occidentale,
rischia di morire di disuguaglianze, mentre cresce la ricchezza prodotta. E’
uno dei problemi dei populismi e degli egoismi contemporanei, fino ai voti
fluttuanti, imprevisti, carichi di “no” indipendente da tutto, che hanno
portato a una non voluta Brexit e alla sorpresa mondiale del nuovo presidente
americano.
Nella mia esperienza di
presidente della Commissione Affari Sociali – e Salute – della Camera vi posso
dire che l’art. 117 che riporta al centro e non nella disponibilità prevalente
delle Regioni, come materia concorrenziale, materie-chiave come la disciplina
del lavoro, la sicurezza alimentare, l’energia, il commercio con l’estero, i
beni paesaggistici, ma soprattutto, salute, istruzione e sociale è il punto di
partenza per rimediare a una crescita della disuguaglianza in Italia che
coincide proprio con una cattiva applicazione del Titolo V e di un federalismo
non solidale ma egoista o miope, come si è affermato dal 2001.
Due dati semplici. Davvero 21
sanità in Italia, un servizio sanitario nazionale che con meno posti letto e un
bilancio contenuto rimane l’esempio più compiuto di Servizio Sanitario
Nazionale Universalistico
mondiale, però con squilibri interni e disuguaglianze enormi. Risultati nell’aspettativa
di vita che collocano l’Italia al secondo posto mondiale, e dipende anche
dall’intero sistema salute, nonostante il numero più ridotto di posti ospedalieri
rispetto a paesi cugini europei e poi la lista delle disuguaglianze, alcune
inquietanti. 45 parti cesarei in Campania e 14 in Trentino, ricoveri
ospedalieri per malattie acute 2,2 % in Campania e il doppio in Puglia, spesa
sanitaria pro capite di 1724 euro in Calabria e di 2160 in Val d’Aosta. Ma
ancor più differenze nella spesa sociale: 77 euro a persona in Sicilia, 277 in
Val d’Aosta, 167 in Emilia, 122 in Lombardia, 47 in Campania e 27 in Calabria.
Farmaci salvavita dati gratuitamente in una Regione e gli stessi farmaci non
forniti in un’altra. E’ inaccettabile.
Penso che senza questa riforma
costituzionale la battaglia per l’uguaglianza in Italia rischia di diventare
impossibile o troppo in salita.
Allora, con allegria, sì. Ma
occorre dirlo agli altri. Non è la fine del mondo. Ma può essere l’inizio e la
continuazione di un mondo un po’ meno ingiusto.