Mario Marazziti - Pagina Ufficiale

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giovedì 10 novembre 2016

Salute mentale: la sfida della dignità e della sostenibilità a 40 anni dalla legge Basaglia


Buongiorno, con amicizia, a tutti i presenti. Ringrazio non solo dell’invito, ma dello straordinario lavoro che fate, della scelta del tema di questa giornata, che ne fa un convegno importante, perché un convegno pensato fin dall’inizio per cambiare. Capire, fare tesoro dell’esperienza, guardare ai mezzi disponibili, cercare e costruire soluzioni possibili nella situazione data, per cambiare. Uno dei piccoli segreti “gratuiti” della Comunità di Sant’Egidio che può essere anche un antidoto alla rassegnazione, o al mero lamento o protesta in tempi di cambiamento del welfare, di risorse non infinite: cambiare il mondo, non smettere di volerlo cambiare, anche con mezzi deboli, a volte poveri, valorizzando tutto quello che c’è attorno.

Sono anche io tra i lettori giovanili de “L’Istituzione negata” – non credo della prima edizione, quella del 1968, di certo una delle ristampe di Einaudi. Ho visto che si trova su e-Bay a 5,25 euro, quella prima versione.
Era come se avessi incontrato un altro grande veneziano, come Marco Polo, che era andato in mondi lontani, il manicomio, la malattia mentale. Provo a immaginare. Ricordo con certezza, vivida, i miei pensieri all’uscita del braccio della morte di Livingston in Texas, io fuori, vivo, loro dentro, già quasi non più vivi, eppure, ognuno, una singola persona, la sua umanità, bisogni. Ho imparato così a usare nel linguaggio comune l’espressione “istituzione totale”. 

«Un malato di mente entra nel manicomio come ‘persona’ per diventare una ‘cosa’», diceva Franco Basaglia. Il muro, la reclusione, la separatezza. Una zona intermedia, dove le regole si trasformano e coprono una differenza abissale di potere contrattuale e dove troppo spesso i diritti di chi sta male si trasformano da dovere di offrire una attenzione in più a motivi per isolare, addormentare, rendere innocui.

Per questo la rivoluzione dolce della legge 180 è stata ed è una rivoluzione vera. Ma c’è il rischio che da storia sembri, o diventi preistoria.

“Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato, possono essere disposti dall’autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici garantiti dalla Costituzione, compreso per quanto possibile il diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura”

Il disagio mentale è in crescita. Il Piano di Azione sulla Salute Mentale dell’OMS parla di un quarto del mondo affetto da qualche disordine mentale in qualche momento della propria vita, e identifica nella depressione una delle minacce maggiori alla salute del pianeta, in crescita. Di più, afferma che 3 persone su 4 con gravi disordini mentali non riceve aiuto. Sappiamo che le persone con disordine mentale sono più indifese e più esposte  un ampio spettro di violazioni umane.

Qui noi proviamo ad affrontare insieme i problemi e le soluzioni possibili per le persone con grave disabilità mentale.

Il disagio mentale fa paura. Crea disagio attorno. Crea disordine. Impone ad altri, a volte, di cambiare abitudini. Malattia. Ma c’è tanto in questa malattia che torna indietro a seconda dell’isolamento, dell’ambiente, di come noi interagiamo con quel disagio mentale. 

Non è un mistero che il disagio mentale aumenti, di certo nelle nostre società occidentali. Ma se questo evolva in maniera drammatica, insopportabile, dirompente, tragica, o se faccia parte della nostra vita quotidiana e rientri, molto dipende dalla crescita dell’isolamento, dalla frammentazione sociale, da un’organizzazione della vita sempre più individuale e individualistica, dall’assenza di tessuto sociale, umano.

In manicomio ci si finiva per molte ragioni, anche da bambini. Ricordo con commozione i primi passi fatti da amici della Comunità di Sant’Egidio nel manicomio di Tirana, dove giovani prigionieri politici internati erano diventati anziani catatonici e abbrutiti, che progressivamente, grazie a un lavoro paziente di amicizia, accompagnamento, sono stati risvegliati e alla fine, uno a uno, hanno abbandonato quel luogo mostruoso e hanno preso a vivere in case-famiglia, tornati a una vita normale.

Vorrei ringraziare tutti quelli della comunità di Sant’Egidio che hanno reso possibile con il loro lavoro, per anni, questo miracolo. E in Albania, con pochi mezzi, in un paese con tutti i segni di un regime pazzo, ossessivo, estremo, totalizzante, il monte Athos dell’ateismo.

E penso anche a un’altra grande storia di liberazione, quella del cosiddetto “repartino” all’istituto geriatrico nomentano di Roma, monte rotondo. Dove un luogo segregato, dimenticato, rinchiudeva in un inferno di abbrutimento, nudità, sporcizia, come ombre disperate esseri  umani entrati lì da giovani e diventati vecchi. Oggi è un luogo aperto, il personale è coinvolto in questa scommessa di dignità umana, alcuni con la comunità di Sant’Egidio ormai vivono fuori, bene. Resurrezioni.

Ma la malattia mentale è difficile. Chiede diversi livelli di intervento, fino a quelli ad alta intensità. Si associa alla difficoltà di gestione di sé stessi e richiede spesso un sostegno anche residenziale, che può aumentare i costi. Ma spesso richiede molto meno. Sempre, richiede un intervento personalizzato.

Penso allo sforzo che abbiamo fatto con l’approvazione della legge sul cosiddetto Dopo di Noi. Sono fiero di avere dato un contributo che ha permesso di portare fino in fondo un percorso più che decennale. Per cominciare a togliere un incubo a molte famiglie italiane. Che cosa sarà di mio figlio, mia sorella, quando non ci sarò più. Con piani personalizzati che possono essere dettagliati finché i propri cari sono in vita, con la partecipazione della persona con disabilità grave se può intellettualmente contribuire, o comunque di chi gli vuole più bene. E la figura del trust, del fiduciario, un parente, un amico, un’associazione, per garantire non solo la giusta amministrazione economica, ma il dettaglio di un progetto di vita, dove la felicità e la dignità umana possa essere presa in considerazione, e non solo la pura sopravvivenza. In ambienti quanto più simili alla vita familiare, quando questa funziona. 

Una legge più piccola, non come la “180”, ma che incarna per il nostro tempo la stessa necessità di rispetto della dignità di ogni persona, specialmente con disabilità grave. Una legge, la 180 e quella sul Dopo di Noi, che riguarda anche persone con disabilità mentale, che insegna a tutti noi, alla società, a convivere con l’imperfezione, con i problemi, che nella disabilità appaiono solo più acuti, e possono rendere la nostra intera società ad essere più forte, noi stessi a essere meno lamentosi, meno impreparati quando c’è una grande accelerazione nella storia o nella vita personale e magari si restringe lo stato sociale come l’abbiamo vissuto fino a ieri. Sono fiero di avere potuto dare con altri un contributo diretto. Per la fine di novembre ci saranno i decreti attuativi. Si potrà accedere al fondo, con le disposizioni delle Regioni, e agli altri dispositivi, alle agevolazioni assicurative previste.

C’è il problema, di allarme crescente, degli abusi che raggiungono la cronaca, Abusi in istituti per gli anziani, negli asili. Penso che la proposta della video sorveglianza sia sbagliata, indica un’impotenza. La risposta più efficace è comunque nelle porte aperte, nel controllo sociale, in una comunità che si interessa di chi è dentro. O ci sarà sempre un angolo buio, anche della coscienza, per quante telecamere ci siano, per un abuso, maltrattare, umiliare.

Affronterete oggi un problema specifico. 

Ci sono indicatori di sofferenza non tutti di facile interpretazione. Nel 2010 la media dei TSO era di 17,9 ogni 100 mila abitanti. Nel 2014 di 16,9. Nel 2010 5 regioni sotto la soglia di 10 TSO per 100 mila abitanti. C’era anche la Toscana e la Basilicata. Adesso sono rimasti Friuli, Trentino e Veneto soltanto. Vuole dire che il tasso di trattamenti in Toscana e Basilicata, nel frattempo è aumentato.
Valle d’Aosta, Sicilia, Lazio, Sardegna, Marche e Emilia Romagna rimangono sopra i 20, con Lazio e Marche i n aumento e gli altri, comunque in diminuzione.

Quello che è chiaro è che ancora gran parte della spesa e degli interventi per chi ha problemi mentali riguarda la vita in residenze non piccole, visto che i servizi con più di 30 posti, di certo superiori a quelle della più vasta delle famiglie patriarcali, riguarda l’80 per cento dell’offerta nazionale. Spesso si tratta di strutture non più inserite nel contesto urbano. Ci sono, naturalmente, zone di eccellenza, non solo l’area-pilota di Trieste, sul territorio nazionale. Anche nel Lazio.

So che sono state avviate esperienze di vita in comune, di persone con malattia mentale anche grave, con la dedizione e la capacità scientifica del dott. Massimo Magnano e di altri, dentro la città di Civitavecchia. E come è stato già sperimentato dalla Comunità di Sant’Egidio per convivenze di anziani anche con disagio mentale o cognitivo e difficoltà di gestione completamente autosufficiente, sono state create case, Case Amiche, o Case Accompagnate, ma è più bello Case Amiche, che hanno una struttura semplice, una sostenibilità molto alta, costi contenuti, un aiuto anche ad alta intensità, proporzionato alle diverse storie personali.

Penso che sia una strada per conservare il nostro stato di diritto e il nostro Servizio Sanitario Nazionale Universalistico. Anche se abbiamo ottenuto i 6 miliardi in più che portano a 113 per il 2017 e a 114 e 115 la disponibilità per la salute fino al 2018, la spesa non può essere infinita. E dobbiamo imparare a ricreare una continuità assistenziale, una capacità di accompagnamento, sociale  e sanitaria, che comincia e continua quanto più si può, dove la gente vive. Perché il tessuto di relazioni sociali è esso stesso risorsa – quasi mai utilizzata -, la casa è essa stessa risorsa, anche terapeutica, spesso ignorata. Soprattutto di fronte al cambiamento della malattia, alla crescita della cronicità, di bisogni di lungo periodo.

Per questo spero che questo modello diventi contagioso, incoraggio le Regioni a prenderne conoscenza più diretta, a metter in comune le buone pratiche e a farne un modello non secondario di intervento di sanità pubblica.
Vivremo meglio e avremo tutti meno paura, anche della malattia mentale.