siamo chiamati a pronunciarci su mozioni che riguardano un luogo emblematico, per l’Italia e per l’Europa, il più grande Centro di Accoglienza Richiedenti Asilo del continente, il CARA di Mineo. Una mozione, a firma Lorefice ne chiede la chiusura, altre mozioni differiscono: pure registrando criticità, si dichiarano contrarie alla chiusura immediata, e senz’altro, però, contrarie a ogni individuazione di quel luogo addirittura come sede di un nuovo hot spot per le persone che sbarcano, e comunque per il superamento progressivo di quel modello di accoglienza: per un sistema di accoglienza diffusa e proporzionata sul territorio nazionale. E, ma non dipende solo da noi, europeo.
La nostra discussione e decisione avviene a 3 anni e un giorno dalla tragedia di Lampedusa, dove 366 persone hanno perso la vita a pochi metri dalla meravigliosa Spiaggia dei Conigli. Tre anni fa, oggi, la signora Presidente della Camera e 6 deputati, tra cui chi parla, decidevamo di andare a Lampedusa, nel Centro di Prima Accoglienza, per capire, parlare con chi era sopravvissuto, contribuire almeno a un saluto religioso, rispettoso, commosso, delle prime vittime, cercare soluzioni. Perché ne parlo? Perché capire dove, in che contesto il CARA di Mineo si inserisce ci aiuta a prendere una decisione saggia, come Parlamento.
Mancavano 350 o 351 corpi all’appello. Potei capirlo parlando con alcuni
superstiti eritrei, dopo che avevano fatto riunioni tra di loro e capito con
quanti pulmini e di quanti posti ciascuno, nella notte, avevano fatto l’ultimo
tratto in Libia, prima di essere imbarcati, battuti, sul barcone. Avevano
impiegato due anni a fare quel viaggio, prima verso Khartoum, poi in Libia, poi
i due giorni finali. 2000 dollari ciascuno, mille per la prima parte e mille
per l’ultima. In mezzo un anno di servitù e abusi in Sudan, per sopravvivere e
fare i soldi per l’ultimo tratto. Il deserto, i viaggi a piedi.
Ieri sera chi
ha visto Fuocoammare in televisione,
una bella pagina di servizio pubblico radiotelevisivo, ha sentito lo strano
gospel Hip Hop dei nigeriani che raccontavano come nel deserto per sopravvivere
si beve la propria urina, e si scappa dalla guerra, da una vita stuprata.
Migliaia di storie, milioni di storie, tutte simili. 65 milioni di profughi
forzati nel mondo, mesi, anni per arrivare, un cambiamento epocale che non si
cura delle nostre leggi, delle barriere, dei muri. Non possono mai essercene
abbastanza. Allungano solo i percorsi, aumentano i rischi, i morti. Sono
aumentati i morti nel Mediterraneo dal 2013, non sono diminuiti. Lo dico per
quelli che dicono: “Se muoiono è colpa loro” “Se ne fossero restati a casa
loro” “Aiutiamoli a casa loro”: quale casa? Quale stato? Se Daesh e Boko Haram
bombardano le case, riducono in schiavitù donne yazide, cristiane, se la sporca
guerra siriana e irakena ha distrutto una grande società di convivenza, creato
400 mila morti, migliaia di mutilati, 7 milioni di profughi interni e 4 milioni
di profughi esterni. O la desertificazione, l’insicurezza della vita, creano
masse di manovra e materiale prezioso per il
traffico umano per le bande che controllano le piste del Nordafrica.
L’Italia da anni fa un grande, straordinario servizio di salvataggio di vite
umane, che ha impedito all’Europa di affondare nel Mediterraneo. I numeri del
2014 parlano di circa 170 mila sbarchi, quelli del 2015 di 153.800 sbarchi,
quelli del 2016 sono perfettamente in linea con quelli del 2015. Gli arrivi non
sono regolari, ma stabili lungo l’arco dell’anno. Possono esserci 6000 persone
in pochi giorni o in una notte. Ma 170 mila profughi in un anno sono meno del
numero degli immigrati di cui ha bisogno l’Italia semplicemente per non
invecchiare ancora di più. E sono niente se pensiamo al Libano, con 1 milione e
mezzo di profughi su 4 milioni di popolazione. Come se in Italia fossero venti
milioni.
Anche il CPA di accoglienza di Lampedusa era surreale. Al di là delle
intenzioni di chi ci lavorava, 1000 persone con 500 letti, gli altri su
materassi di gommapiuma sfoderati sotto i pini, che quando pioveva diventavano
casette di lego di gommapiuma. Un labirinto di finte case di carte di
gommapiuma. E dopo la pioggia della notte sembrava Haiti dopo il terremoto. Ma
il giorno di pasqua, per le coperte termiche d’argento e d’oro, come carta
stagnola, appese e affogate nelle pozze d’acqua. Tra gli aghi di pino.
Il CARA di Mineo è un luogo-simbolo di tutto questo. Andrà superato. Non
solo il CARA di Mineo, ma tutto il sistema dei CARA e dei grandi centri di
accoglienza, dove l’inserimento, l’integrazione sociale sono lontani.
Fisicamente lontani. Un sistema che crea piccolo e grandi “limbo”, che duravano
anni, fino a 30 mesi sospesi nel nulla, oggi meno, anche grazie all’aumento
delle Commissioni territoriali per esaminare le domande dei richiedenti asilo.
Lasciatemi dire che, forse, più che discutere della chiusura o meno del
CARA di Mineo sarebbero da calendarizzare i disegni di legge sul Diritto di
Asilo, dove, come nel d.d.l. che ho depositato dopo un ampio lavoro di
consultazione con le Associazioni e il C.I.R. si prefigura la necessità e la
possibilità di avviare il percorso di ricezione ed esame delle domande di asilo
e protezione internazionale già dall’altra parte del Mediterraneo e nei luoghi
di transito, PRIMA del viaggio della morte, con la possibilità di creare un
data-base europeo, un esame delle storie personali da prima, la riduzione della
carne dei sacrifici umani offerti ai trafficanti di persone. E viaggi normali,
in aereo o per traghetto. A poche centinaia di euro.
L’immaginazione istituzionale che ha permesso alla Comunità di Sant’Egidio
e alla Federazione delle Chiese Evangeliche di creare in Accordo con il Governo
italiano di creare i primi “Corridoi Umanitari” sta prendendo vigore e si sta
per allargare ad altri Paesi europei, inclusa la Polonia, dove, lo sappiamo, i
sentimenti anti-profughi sono forti. Ma c’è un elemento che è chiave nei
“Corridoi Umanitari”, e che riguarda il nostro tema di oggi. E’ l’accoglienza
diffusa, delle comunità italiane, l’inserimento dal giorno uno nei corsi di
lingua, nella scuola per i bambini, il sostegno e l’autogestione dei profughi e
delle reti anche di immigrati già esistenti: un modello dia accoglienza ancora
più efficace di quello degli SPRAR, che coinvolgono i Comuni italiani, o che
può diventare un modello operativo anche per gli SPRAR. Piccoli centri, case-famiglia,
ospitalità sostenuta dal pubblico, anche nelle case.
Torniamo al CARA di Mineo. Nasce sull’emergenza delle cosiddette “primavere
arabe”, Tunisia e via via la Riva Nord del Mediterraneo, nel 2011. Purtroppo
molte di loro sono diventate autunni, dolore. Si poteva scegliere un altro
luogo invece di Mineo? Forse sì. Forse c’era la stessa base di Sigonella. Ma,
soprattutto, c’era la via, già allora, dell’accoglienza diffusa. Ma chi
solleticava gli egoismi dei propri cittadini del Nord preferì un’altra strada.
Prima Mineo in gestione emergenziale alla CRI, poi vari cambiamenti, inclusa la
Provincia di Catania, poi il Consorzio Calatino Terra d’Accoglienza, i comuni
della zona, difficili da raggiungere, ma gli unici centri abitati relativamente
vicini. Oggi tutto questo si è interrotto. E il Ministero dell’Interno
sovrintende direttamente alla gestione del Centro, affidata a società di
servizi.
All’indomani della tragedia di Lampedusa abbiamo presentato diversi disegni
di legge per istituire una Commissione d’Inchiesta su tutto il sistema di
accoglienza migranti. Un d.d.l. di Sel, uno mio, nostro, di deputati demo
solidali, uno del Pd. La prima missione della Commissione, che ho potuto
servire in qualità di vicepresidente, assieme all’onorevole Patriarca, e con l’onorevole Migliore come presidente. Era preparata, annunciata, prevista. Eppure in quattro ore abbiamo potuto riscontrare un
doppio registro, tra quello che tutte le delegazioni internazionali vedevano e
la vita reale dentro le stanze, nel campo, imbarazzante. Come le due stanzette
con la scuola, semi deserte, con 4000 e più profughi allora, molti da più di un
anno, dietro l’angolo e quasi nessuno capace di parlare una parola di italiano.
Come il territorio controllato etnicamente, un commercio visibile e inverosimile,
controllato da chissà chi, le cimici che camminavano nelle stanze, l’infermeria
con davvero poco a un costo del servizio di oltre due milioni l’anno, mentre
sarebbe stato possibile utilizzare la medicina di base, solo che i soggetti
coinvolti avessero voluto: tre medici massimalisti, per esempio.
Nelle
audizioni con i titolari, i sindaci dei comuni, analizzando le carte, negli
incontri con i procuratori che avevano inchieste in corso, al termine di 24 ore
la Commissione era in grado di sollevare i problemi che la relazione dell’ANAC
avrebbe confermato. All’indomani della nostra visita di sindacato ispettivo il
Centro è stato commissariato, successivamente è stato sciolto il Consorzio
Calatino, dalla fine del 2015 è il Ministero dell’Interno ad avere assunto un
controllo diretto. Alcuni dei soggetti sono entrati nell’inchiesta Mafia
Capitale.
Rivendico, anche personalmente, con i miei colleghi della
Commissione, nei fatti, come Istituzioni, come Parlamento, il cambio di rotta e
la svolta di legalità.
Il CARA di Mineo è il risultato di molte politiche sbagliate. Nato con il
Governo Berlusconi e il Ministro dell’Interno Maroni, quando il Ministero
dell’Interno tratteneva nell’isola e nel sud Italia la stragrande maggioranza
dei profughi arrivati in Italia. Gonfiando i centri, creando le premesse per
contratti e rinnovi in deroga, situazioni non dignitose o invivibili. Per
“proteggere” i comuni del Nord dagli immigrati.
E’ cresciuto con superfetazioni di guadagno private, arrivate fino a dare,
come abbiamo visto nella nostra prima visita, il per diem, il pocket money
di due euro e mezzo a ogni immigrato, l’unico denaro che i profughi ricevono
davvero direttamente dall’Italia (tutto i resto della spesa va agli italiani
che forniscono i servizi), nemmeno in monete. Ma in sigarette. E
tutte, rigorosamente, Marlboro. Anche a chi non fuma.
I profughi devono essere accolti, se inseriti e integrati sono un valore
per l’Italia e non un peso, vanno distribuiti sul territorio nazionale. Se non
ci fosse una predicazione dell’odio e della paura, sarebbero una risorsa
naturale delle tante comunità italiane. L’accoglienza deve essere quanto di più
lontano dai grandi centri e dai grandi numeri. Gli hot spot e i Centri di Prima
Accoglienza devono ospitare per poche ore, pochi giorni. Ma prima che tutto
questo accada e in maniera fisiologica, occorre umanizzare la vita del CARA di
Mineo, ridurre il numero, operare perché l’intero sistema dei CARA vada ad
esaurirsi.
Occorre un pensiero sul 'dopo'. E un progetto. Che non può essere
“Chiudiamo il CARA” e poi “Ma non metteteli nel mio comune”, “Not in my garden”.
Il CARA di Mineo, di Bari, tutti i CARA devono essere superati. Non è accettabile che ancora oggi, stamattina,
3360 persone siano ospitate nel CARA di Mineo. Va svuotato, portato a
fisiologia, o si diventa complici non di arricchimenti, ma di un modello
fallimentare.
Lo diciamo con forza al
Ministero dell’Interno.Vanno superati i CARA, tutti. Per un modello di
accoglienza diffusa. Invito per questo le opposizioni a sostenere proprio il
modello dell’accoglienza diffusa, e potremo chiudere i CARA e fare delle
migrazioni una opportunità storica.
Per questo il Gruppo Democrazia
Solidale-Centro Democratico voterà no alla mozione del MoVimento 5Stelle e sì
alla mozione che ha sottoscritto. Indicando la strada del superamento
progressivo dell’intero sistema dei CARA a fronte di un cambiamento di modello.
Non per gli errori nella gestione, o per i precedenti illeciti, la cui
interruzione è dovuta anche al lavoro della Commissione di cui ho fatto parte
fino all’anno scorso. Ma perché è tutto il sistema di accoglienza che va
umanizzato e diffuso sul territorio.
Sono pronte a questo le opposizioni?
Dichiarazione di voto di Democrazia Solidale-Centro Democratico sulla mozione Lorefice ed altri n. 1-01342 concernente iniziative in relazione al centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo (Catania)