I migranti ci interrogano. Interrogano l’Europa e noi. Sappiamo chi è
l’Europa e come sta diventando? Chi siamo noi? Chi sono i migranti?
Il primo problema è questo. Che tutti ormai ne parliamo, che le
migrazioni stanno saturando immaginario e discorso pubblico, in Italia, in
Europa, nel mondo occidentale. Probabilmente anche in Asia, nell’Africa
sub-sahariana (ma noi qui in Italia e in Europa non ne siamo consapevoli), ma
che parliamo di una cosa che pensiamo di conoscere e non conosciamo.
Narrazione, linguaggio, discorso pubblico sono una cosa. La realtà è in
gran parte un’altra. Ma le politiche dell’immigrazione risentono molto del
discorso pubblico, e quindi tendono ad essere sbagliate, completamente miopi,
di corto respiro.
In Italia, in
Germania, in Francia, in Europa c’è chi, davanti alle immagini di chi muore o
sta affogando nel Mediterraneo, dice: “Aiutiamoli a casa loro”. O anche: “Non dovrebbe essere lì”. Frasi senza senso,
ma che vengono moltiplicate nelle news mondiali dando dignità al nonsenso
volgare dei populisti. Quale casa? Quale paese? Bombardati? Schiavizzati? In
mano a Daesh?
Questo nonsenso
sta svuotando l'anima dell'Europa e degli europei. Ho parlato con gli eritrei
sopravvissuti del naufragio di Lampedusa, due giorni dopo. Mancavano ancora più
di 300 corpi all'appello. Abbiamo ricostruito insieme che dovevano essere
ancora in fondo al mare in quel numero. Ognuno di loro aveva speso circa duemila
dollari e quasi due anni di vita per arrivare a Misurata e Lampedusa, o in
fondo al mare. Un anno passato a Khartoum, semi-schiavi, per fare i soldi per
la seconda parte del viaggio e trovare i trafficanti umani “giusti” per arrivare.
Chi si sottopone a questo, se la strada per arrivare ed essere accettato sarà
più difficile, per le decisioni degli stati europei, si sottoporrà solo a nuovi
rischi.
Mediterraneo
sempre più cimitero. Ma anche della coscienza europea. Non ci sono leggi che
fermano questo. Ma ci sono leggi che possono dare una risposta a questo. Quelle
che l'Europa stenta a darsi.
Nel mondo, nel
2015, i migranti erano 244 milioni. 76 milioni in Europa e 75 milioni in Asia.
Più di 60 milioni di migranti forzati. 19,5 milioni i rifugiati riconosciuti. 1.015.000
sono arrivati via mare. In un’Europa con 510 milioni di persone non sarebbe
granché.
Da luglio a
settembre dal Sud Sudan più di 300.000 persone si sono dirette in Uganda, quasi
300 mila in Etiopia occidentale, altre 200mila altrove: quasi lo stesso numero
in tre mesi dal solo Sud Sudan.
Che dovrebbero
dire questi paesi? E non sono l'Europa.
Questo ci aiuta
ad avere la dimensione.
Allora. Prima domanda. “Europa, sei una vecchia signora. Come
vuoi invecchiare? Vuoi avere un futuro, figli e nipoti, o vuoi che la tua casa
piena di mobili, quadri, bellezza e anche gioielli finisca con quello che sei
oggi? Vuoi difendere tutto questo con la porta chiusa o partecipare al futuro
tuo e dei tuoi figli?”. “Europa, sei
cresciuta facendo diventare ‘loro’, gli altri, le nazioni e i nazionalismi, un ‘noi’.
Vuoi accettare la sfida di fare rientrare di nuovo la paura di ‘loro’, e
trovare futuro forza e giovinezza attraverso integrazione che riduce e non aumenta le ostilità, di
costruire un ‘noi’ capace di includere l’altro?”. Come l’Impero Romano, gli
Imperi, ma anche come un grande soggetto capace di vivere nella
globalizzazione?
Partiamo allora dal linguaggio e dai dati.
Nessuno è mai solamente un rifugiato
In Igbo la parola usata per “amore” è ifunanya
e la sua traduzione letterale è “vedere”. E’ arrivato il momento per una nuova
narrativa, una narrativa in cui vediamo realmente coloro di cui parliamo per
raccontare una storia diversa. Lo spostamento di esseri umani sulla terra non è
nuovo. La storia umana è fatta di spostamenti e mescolanza. Nessuno di noi è
solo carne e ossa. Siamo esseri che provano emozioni, affetti. Nessuno è mai
solo un profugo. Ma una persona. Come noi. “Stranieri nostri fratelli” era il
titolo di un ragionamento della Comunità di Sant’Egidio di fronte alla prima
ondata di intolleranza in Italia, dopo l’attacco terroristico palestinese a
Fiumicino. Non era buonismo. Era, ed è, l’unica visione lungimirante. Anche per
fare restare l’Europa Europa, perché sia se stessa. Nata dopo la guerra come
realizzazione di una democrazia umanistica e inclusiva. Come ancora il Piano di
Stoccolma che delineava obiettivi ambiziosi per la politica migratoria europea,
ovvero accordare agli stranieri residenti legalmente “un livello di diritti
comparabile a quello dei cittadini degli stati membri”. Ma sembra preistoria. E
era invece il 2010.
Le migrazioni non sono un fatto transitorio, ma epocale. I migranti che
premono alle porte dell’Europa sono una piccola minoranza rispetto alle masse
di individui, persone, che oggi sono migranti forzati nel mondo. Più di
60 milioni, oggi, la cifra più grande dalla fine della seconda guerra mondiale,
e della storia umana, forse. Solo due milioni in Europa, e due milioni in
Libano o Giordania - come se in Europa ve ne fossero 200 milioni, in rapporto
alla popolazione.
Ma l’Europa si è spaventata, partiti populisti pensano di guadagnare
aumentando la paura, la paura è quello che vuole Daesh, Isis, ma i nostri apprendisti
stregoni che dicono “Salviamo la civiltà occidentale” regalano ogni minuto a
Daesh una supremazia che non ha, proprio attraverso la strategia della paura e
dell’indistinto: migranti uguale musulmani, uguale possibili terroristi,
comunque potenziali minacce e nemici, uguale clandestini e pericolo che si
muove nell’ombra.
L’Europa è tuttora il continente europeo con più possibilità e tecnologia.E
anche spazi, se fosse più unito.
Si fa la distinzione tra migranti economici e
profughi. Ma nella quasi totalità si tratta di migranti forzati. Penso
che dobbiamo usare questa categoria. Perché anche i migranti economici, se
fuggono desertificazioni, entrano in contatto con bande che controllano il
territorio, impiegano mesi, un anno, due anni, in mano a trafficanti umani e
piccoli signori della guerra, sono semplici migranti forzati.
Nel discorso pubblico europeo degli ultimi anni, la distinzione tra
migranti economici e profughi tende ad essere presentata, sempre più spesso,
come base della quale differenziare i migranti ‘meritevoli’ da quelli ‘non
meritevoli’, quelli da accogliere dai migranti da respingere. E’ una cosa da
dibattito televisivo, con chi dice: “Vengono qui a portarci via il lavoro, se
ne stessero a casa loro”. Ma casa loro non c’è. C’è la guerra, c’è lo
sfruttamento, e ancora peggio.
L’Europa
invecchia e perde competitività
L’Europa invecchia irrimediabilmente, perde e perderà di competitività,
in questa che è la “quarta globalizzazione”. Per questo la battaglia è diventare
capaci di utilizzare le migrazioni forzate come un pilastro per disegnare la
nuova Europa e il nuovo sviluppo.
Le migrazioni, a ondate, ci sono sempre state. Dalle origini
dell’agricoltura fino alla metà dello scorso millennio, l’Europa ha ricevuto
flussi di immigrazione in provenienza dal Mediterraneo sud-orientale o dall’Oriente,
attraverso la grande porta di entrata tra gli Urali e il Mar Caspio.
Nel Cinquecento, la prima globalizzazione è stata quella dell’incontro
tra Europa e America ha gettato i semi della prima grande globalizzazione
moderna, aprendo il continente a consistenti flussi di emigrazione.
La seconda grande globalizzazione ottocentesca è stata dall’Europa verso i
Nuovi Mondi bisognosi di capitali, lavoro, coloni e famiglie: poi, le grandi
perdite demografiche della prima guerra mondiale, il protezionismo economico
tra le due guerre, la graduale chiusura dei paesi di destinazione.
La terza globalizzazione negli ultimi decenni del secolo scorso ha
invertito la direzione dei flussi, e dopo mezzo millennio l’Europa è divenuta
una delle regioni di approdo di
migranti.
Oggi è in corso una quarta globalizzazione,
mentre cambiano i confini del mondo ereditati dalla Prima Guerra mondiale ed
entrano, concorrenti e pieni di problemi e di lotte interne per la egemonia,
sullo scenario mondiale, mondi che sembravano passivi rispetto alle grandi
dinamiche mondiali e dello sviluppo.
I numeri e i fatti sono essenziali. Massimo Livi Bacci ci aiuta in
questo. Se guardiamo a un’Europa comprendente anche la Russia - il cui corpo si
estende per lo più in Asia, ma il cui baricentro demografico è nettamente in
Europa -, e consideriamo i settant’anni che ci separano dalla fine della
seconda guerra mondiale, possiamo dividerli in due fasi di uguale lunghezza:
1945-1980 e 1980-2015. L’Europa invecchia inesorabilmente e occorre
partire anche da qui.
Nella prima delle due stagioni, quella del rigoglio demografico, la
popolazione del Continente è cresciuta da 524 a 695 milioni di abitanti (+171
milioni, +33%); nella seconda fase,
della frenata e del ristagno - dopo il 1980 - la crescita è diventata assai tenue, portando
la popolazione a 743 milioni nel 2015
(+48 milioni, +7%).
Ma il dato sarebbe diverso se non ci fossero stati 40 milioni di
immigrati, nel frattempo. In una terza fase (2015-2050), del declino, la
popolazione scenderebbe a 709 milioni (-34 milioni, -5%, secondo le valutazioni
delle Nazioni Unite).
Tra oggi e il 2050, quasi tutti i paesi europei (tranne Regno Unito,
Francia, Svezia, Norvegia e Irlanda) qualora tenessero le porte chiuse
ermeticamente alle migrazioni, conoscerebbero un declino demografico di varia
intensità
Nell’insieme del Continente, se cessasse l’apporto dell’immigrazione, la
popolazione scenderebbe a 656 milioni nel 2050 (-87 milioni, - 12%).
Allora? Qualche punto fermo.
Calais. Non
è solo un problema di Brexit. C’è un vero problema di sicurezza, ma
prioritariamente per i migranti. Rischiano la vita nel
tentativo di salire sui mezzi di trasporto che attraversano il tunnel: 4 morti
nel solo mese di luglio 2016 a Calais. In media, muore una persona alla
settimana dal 2014, includendo Parigi e la Gare
du Nord da dove partono i treni. Anche gli autisti rischiano regolarmente
incidenti stradali sul percorso, oppure di essere perseguiti come passeurs.
Un’inchiesta Unicef negli accampamenti del nord della Francia dice che più
giovani hanno pagato tra i 2700 e 10mila euro per arrivare in Francia. Oggi,
per via dei controlli della polizia, percorrere gli ultimi chilometri e
attraversare la Manica significa sborsare tra i 5.000 e 7.000 euro. In attesa
di accumulare la somma, i minori sopravvivono nella jungle per mesi rifiutando spesso il posto in un Centro a cui
avrebbero diritto.
(Il 5
settembre, in occasione della mobilitazione del ‘Grand
rassemblement’ dei cittadini di Calais,
sostenuta e appoggiata dall’estrema destra, contro “la pressione migratoria” e per “dire stop all’insicurezza”, un centinaio di persone - tra le quali rappresentanti delle imprese di
trasporto e dei commercianti, del sindacato FO della polizia, e persino della
CGT dei Dockers – con una decina di mezzi, camion e trattori
aveva bloccato l’autostrada che porta al tunnel sotto la Manica. Tra le
incongruità di questa mobilitazione bisogna dire che il sindacato dei proprietari
di imprese di trasporti è il primo a
utilizzare mano d’opera straniera sottopagata.
D’altra parte, invalidare gli accordi franco-britannici di Touquet
che prevedono la gestione della frontiera britannica in Francia in cambio di
una quota di partecipazione miliardaria, è uno degli argomenti elettorali del
candidato Sarkozy che nel 2003, come ministro dell’Interno, aveva firmato
quegli stessi accordi che oggi denuncia.)
I migranti ci interrogano su di
noi
I migranti ci interrogano su di noi. Che cosa occorre fare, almeno, per
rimanere noi stessi. L’Europa Europa e noi semplicemente ‘umani’?
Chi vogliamo essere? La globalizzazione dell’indifferenza è un suicidio per
l’Europa.
Molte le
criticità che andrebbero rimosse, presto, dall'Ue. Ancora prima della revisione
profonda della Convenzione di Dublino, che è da raggiungere. Perché creata
quando 9 migranti su 10 arrivavano per vie normali nel paese che volevano
raggiungere. Oggi solo uno arriva così, e gli altri 9 per vie pericolose nel
paese raggiungibile, ma non quello dove si chiede l’asilo o si hanno reti di solidarietà
già attive. Si dovrebbe intervenire, fra le altre cose:
- sui programmi di ricollocamento. Dopo una
giusta decisione in tal senso soltanto 4000 accettati su una disponibilità
iniziale di 160 mila.
- sul reinsediamento, il resettlement. Troppo lento dai paesi di transito come il
Libano, la Giordania per i siriani. L'accordo prevedeva 22 mila persone, ma
solo 8.268 sono state reinsediate.
-sulla moltiplicazione dei Corridoi umanitari,
sulla base del successo dell'iniziativa creativa e coraggiosa di Sant'Egidio e
delle Chiese evangeliche. C'è' una raccomandazione europea dell'aprile 2016: permessi
per motivi umanitari. Senza rompere la Convenzione di Dublino.
-sull’incremento delle vie legali di ingresso in
Europa è la via maestra. Per i richiedenti asilo, i rifugiati e i migranti
economici, (ma resta difficile distinguere i motivi di fuga o catalogatele vittime
di catastrofi ambientali).
-sull’agevolazione dei ricongiungimenti
familiari per i rifugiati, ampliando le categorie di familiari ammesse. I
siriani sono oltre 600 mila. Nei paesi europei e molti hanno familiari in grado
di aiutare.
-sul favorire il mutuo riconoscimento dello
status giuridico tra i diversi paesi europei. La reciprocità come inizio di
un modo innovativo di applicare la Convenzione di Dublino, ancor prima di una
sua revisione e profonda. Per i profughi riconosciuti tali e con un lavoro
potrebbe essere rilasciato un permesso di lungo-soggiorno prima del compimento
dei 5 anni. È questo eviterebbe i cosiddetti "”movimenti secondari” se
c'è' una possibilità di accoglienza o un lavoro anche in un altro paese diverso
da quello di arrivo.
E ancora sono necessarie:
-una politica europea di asilo. Una domanda di asilo che possa iniziare dall’altra parte del
Mediterraneo, per evitare i viaggi della morte e il finanziamento della
criminalità e del terrorismo organizzato.
-il migration compact, non come strumento difensivo, ma di sviluppo per Eurafrica, di breve e
medio periodo. Investimento di amicizia e di sviluppo. Surreale un investimento
di 3 miliardi replicabile per la Turchia, per il contenimento dei flussi
migratori, e meno di questo per 23 paesi mediterranei e dell’Africa
sub-sahariana.
-una decisione europea sul
futuro. Migranti e un lavoro per l’integrazione subito. Come
mostra il modello dei corridoi umanitari di Sant’Egidio e delle Chiese
evangeliche. Fin dal primo giorno scuola di italiano, scuola, inserimento,
corresponsabilizzazione. Un’alternativa alla radicalizzazione, che invece può
crescere nei campi di accoglienza, nella terra di nessuno, in carcere. Solo una
grande politica di dialogo e amicizia e inclusione svuoterà l’impazzimento
violento endogeno e esogeno, permetterà di riassorbire i foreign fighters. 6, 9, 18 mesi in un campo senza fare nulla è solo
un costo umano ed economico.
-una purificazione del
linguaggio, per togliere terreno alla paura e alle contrapposizioni. Una grande responsabilità per i mezzi di informazione, i social media. Le
nostre democrazie fanno fatica a prendere decisioni complesse nel tempo dei
social media, delle semplificazioni, del linguaggio violento mai sottoposto al fact checking.
-una grande politica di
investimenti di sviluppo, o non ci sarà tempo. Perché
tutte le democrazie occidentali si stanno indebolendo, sulla spinta dei diversi
populismi, cinici o ignoranti.
Si può fare. La vecchia Europa potrebbe trasformare questa crisi in un
grande trapianto di cuore e di tessuti, senza rigetto. Le migrazioni sono una
grande occasione: una medicina biologica per l’Europa, invece del trionfo della
chirurgia plastica su una vecchia signora.