Dichiarazione di voto di Mario Marazziti, Gruppo Democrazia Solidale-Centro Democratico (presidente della Commissione Affari Sociali)
E’ sempre una bella
giornata quando, magari dopo tanti anni come accade oggi, una legge riesce a
togliere angoscia, a restituire un sorriso, tranquillità a migliaia di famiglie, e alla
fine, a milioni di persone. A chi non conta.
E’ il diritto per le famiglie dei disabili
gravi di vivere senza terrore per il futuro dei propri figli. Il diritto di
poter morire in pace, anche di essere
stanchi, sapendo che i propri figli, che senza aiuto non vivrebbero, hanno una
vita vera. Dopo di noi.
Ci sono leggi che
segnano anche una svolta culturale. E’ il caso di questa legge sul “Dopo di noi”.
Un Fondo pubblico, di
90 milioni per quest’anno e con i primi 150 milioni nel triennio, perché le
Regioni e tutti i soggetti interessati possano garantire percorsi
personalizzati per i disabili gravi dopo la morte dei genitori. Progetti di
vita, personalizzati ripeto, decisi dai genitori, i fratelli e le sorelle, da chi ama
la persona con quel problema e dai protagonisti se il tipo di disabilità lo
permette. Assieme alle strutture pubbliche.
Dopo di noi – è questo il diritto che si
riconosce alle famiglie – il mio ragazzo, il mio caro, vivrà in un luogo e in un modo che è
il più vicino ai suoi affetti e alla sua indipendenza. E viene definito come opererà
il cosiddetto “trust”, e la persona di fiducia, il trustee. La legge definisce non solo lo strumento, il quanto le famiglie possono
destinare per questo diritto al futuro, ma anche il chi e il come. Le famiglie, i privati, i
cittadini, possono, con agevolazioni fiscali doverose e ovvie, destinare beni
per garantire condizioni di vita dignitose e affettivamente quanto più simili a
quelle che si vivono in una buona e bella famiglia. Ma mentre si è ancora in vita, si
possono creare fondi vincolati, nell’uso e nella destinazione, beni, risorse,
che permettano “quando noi non ci saremo più” o anche adesso, che mio figlio,
mio fratello, la mia amica, possano continuare a vivere bene, ad avere quello
di cui hanno bisogno. E COME: anche la possibilità di andare a vedere la Roma,
il Napoli o l’Inter, o il Palermo, se quella è una cosa che fa parte delle
proprie abitudini o desideri, uno che accompagni per non smettere di fare parte
di un coro, o di un’associazione, o di un corso di pittura, o di andare a una terapia.
Le famiglie vengono liberate da un incubo. Quello di non dovere essere disperate, sole, davanti all’interrogativo: “chi si occuperà di lei, di lui?”. E questo si può fare mentre si è in vita, e già possono essere cominciati questi percorsi di vita.
Le famiglie vengono liberate da un incubo. Quello di non dovere essere disperate, sole, davanti all’interrogativo: “chi si occuperà di lei, di lui?”. E questo si può fare mentre si è in vita, e già possono essere cominciati questi percorsi di vita.
E’ l’universalismo dei
diritti che arriva anche in campo sociale per i più deboli nella
popolazione italiana. L’ha voluto una larga maggioranza dei gruppi
parlamentari, 6 progetti di legge, primi firmatari come Argentin, Grassi,
Binetti, altri. Il lavoro della relatrice Carnevali, un grande lavoro di ascolto, il sostegno del Governo,
la collaborazione convinta del PD, ovviamente di Democrazia Solidale-CD, nella Commissione Affari Sociali, non è mai mancata la sottosegretaria Biondelli, e questa Commissione che ho avuto
l’onore e la responsabilità di guidare nella fase finale di questo lavoro. FONDO PUBBLICO E TRUST. Solidarietà,
sussidiarietà verticale e orizzontale che si incontrano. Verticale: stato, regioni, il pubblico che
si avvicina a tutti, ricchi e meno ricchi. Meno istituzionalizzazione e più
autonomia e forme di vita a misura familiare. Persone e non categorie al
centro. Chi è disabile grave ha diritto di essere aiutato come tale anche a 65
anni e a non finire in una RSA per anziani o in istituto. E’ per me anche la
battaglia di una vita. Superare gli istituti e creare reti di solidarietà. Ma
va fatto con delicatezza. Ci sono istituti dove si vive male e si muore, e casi
in cui invece persone che non potrebbero vivere senza quell’istituto vivono grazie a quell'istituto ancora. E solidarietà orizzontale: le famiglie, la
società civile, le associazioni no profit, che si integrano e creano vita più
umana, risorse e opportunità aggiuntive. Un ringraziamento a tutti loro.
Il TRUST per la prima volta è regolamentato, all'art.6. Dovremo ampliare l'uso di questo istituto in futuro anche per sostenere con donazioni e agevolazioni il no profit a favore di altre fasce deboli.
Troppa solitudine fino ad oggi per le famiglie. Sole anche con il senso di colpa, mentre una cultura dominante arretrata ha bollato solo come handicap le persone, incapace di vedere il valore della vita e della vita anche indebolita. Tanti ancora definiscono la vita a partire dall’handicap e non dalla vita tutta intera.
Troppa solitudine fino ad oggi per le famiglie. Sole anche con il senso di colpa, mentre una cultura dominante arretrata ha bollato solo come handicap le persone, incapace di vedere il valore della vita e della vita anche indebolita. Tanti ancora definiscono la vita a partire dall’handicap e non dalla vita tutta intera.
E’ una legge che ci
dice chi siamo. Vale anche per chi disabile grave non è. Viviamo nel sogno e
nel mito dell’indipendenza. E’ un valore l’indipendenza, anche per chi ha una
disabilità grave. Ma non è un valore assoluto. Se essere disabili vuole dire
dipendere da qualcuno, siamo tutti disabili, in maniera diversa. Dipendenza è
anche relazione, affettività, rottura dell’isolamento, se tra uguali, quando si
riconosce la dignità dell’altro. Siamo,
sì, tutti indipendenti, e tutti interdipendenti. Tutti dipendiamo da un
sorriso, l’attenzione di un altro, la considerazione degli altri.
La nostra è una società che fa fatica a
scoprire quanta vita c’è quando non è fatta di sani, forti, intelligenti, di
successo. Per questo, questa legge è una grande occasione per tutti. Non solo
per i 15 milioni che in qualche modo sono a contatti con persone con disabilità
più o meno grave. Non solo per i 2,2 milioni di persone con disabilità, come ci
dice l’ISTAT, o le 580 mila persone con disabilità grave sotto i 65 anni, di
cui 260 mila vivono assieme a uno o entrambi i genitori, e almeno 86 mila che
vivono con genitori anziani. Tutti, uno per uno, persone. Con un nome e una storia. Non solo per quelli che vivono in istituti, RSA
non pensate per loro, convivenze troppo grandi e troppo diverse da una
famiglia, se non vivono in casa. I dati ci dicono che l’86 per cento
dell’offerta è in strutture con più di 30 posti, mentre solo il 3,7 per cento
vive in soluzioni alternative, case famiglia, comunità-alloggio: anche se
alcune sono straordinarie. Tra i disabili gravi c’è così tanta vita che qui una
legge finalmente aiuta progetti personalizzati per il futuro.
E’ una occasione straordinaria
e controcorrente. Ci fa vedere le nostre contraddizioni. In una società, la nostra, dove lunghe sono
le file di chi desidera adottare un bambino, ma dove i bambini con disabilità
adottati sono appena lo 0,2 per cento. Dove molti non nascono nemmeno se si
scopre presto una disabilità. Dove molte persone con disabilità grave temono
programmi di eugenetica o di morte anticipata tutte le volte che sentono
parlare di eutanasia, di vita che non è più vita. Ricordiamocelo. Pensiamoci. Anche in futuro.
E’ una bella legge. Non
ci sono lobby. I disabili gravi sono la lobby più debole di tutte, così come il no profit, il volontariato. Il trust che
viene istituito per proteggere anche in futuro il disabile grave ha finalità
precise: si lega al progetto di vita che è elaborato in maniera
personalizzata assieme agli stessi
destinatari, se possibile, e a chi li ama, ancora in vita. E magari, come dice Ileana, può garantire anche che le abitudini più semplici, quelle
che hanno una ritualità affettiva, come il gelato preso d’estate o il cinema in
una sera di inverno o la partita o la messa alla domenica non si interrompa per
l’invecchiamento dei familiari. Il gelato di Marco, il coro della domenica di
Marta, la partita di Maurizio.