Seminario Parlamentare - Venerdì 18 Luglio 2014
Italia chiama Africa
È un privilegio per me essere
oggi a questo convegno, Mandela day, che è stato immaginato proprio quando
abbiamo ricordato la scomparsa di Nelson Mandela in una sessione speciale del
nostro Comitato diritti umani lo scorso anno. Volevamo diventasse un appuntamento
annuale, non formale. Per incidere positivamente nella nostra attività
parlamentare. Il mio - è quanto mi è stato richiesto - sarà un ricordo
personale di Madiba, "L'Amato", di Nelson Mandela: ma cercando di
trarre da lui, dalle sue virtù personali, alcuni insegnamenti per i problemi
che abbiamo di fronte.
Oggi ricordiamo Nelson Mandela
in un giorno buono per il Parlamento italiano. Un giorno buono per l’amicizia
con l’Africa. Perché ieri abbiamo approvato, a grandissima maggioranza, la
nuova legge sulla cooperazione internazionale allo sviluppo, una legge che
aspettava di essere cambiata da più di venti anni.
E questa legge, questo
Parlamento, hanno detto in questo modo "no" all’afro-pessimismo.
Abbiamo detto no all’ exit strategy dall’ Africa e dal Sud del mondo.
Abbiamo detto anche un no a un'idea che non condivido: quella di parlare con
l’Africa o con il Sud del mondo solo quando ci sono paesi che crescono
economicamente a due cifre. Non è questa l’idea, anche se è importante che vi
siano segni di crescita che, se ben indirizzati, diventano una formidabile arma
di lotta alla povertà e sconfiggono da soli l'idea arretrata
dell'"Africa-problema". E' l’idea di una grande alleanza per cambiare
il mondo, in meglio, dove lo sviluppo è chiave di dignità, di pace, di
partenariato profondo.
Questo era anche l’approccio
che veniva naturale quando si incontrava, si aveva la fortuna di incontrare
personalmente, Nelson Mandela. Io ho avuto questa fortuna nel lavorare con lui
quando, assieme alla Comunità di Sant’Egidio, ero impegnato nella mediazione di
pace per far terminare il conflitto, il genocidio, fra Hutu e Tutsi in Burundi,
assieme a don Matteo Zuppi, un uomo di pace con il dono di spiegare alle parti
il loro pensiero profondo, oltre le paure.
Mandela è stato il main
facilitator di quel processo di pace, dopo la scomparsa di un altro grande
africano, Julius Nyerere. Io e la mia organizzazione guidavamo la parte del
negoziato sul cessate il fuoco, sulla riconciliazione, sulla "sicurezza
per tutti", e cioè sulla possibilità davvero di abbandonare le armi e di
decidere per la pace. La parte del negoziato che metteva davvero fine al
genocidio e poneva le premesse per una vita sicura dopo.
L’incontro con Mandela: Mandela
non era mai una cosa sola. Mandela è stato un leader rivoluzionario, era un
aristocratico, ed era un uomo di stato. Aveva una bellezza fisica, un tratto
gentile, davvero da aristocratico ma senza il distacco degli aristocratici. E'
stato ricordato da madame Tambo: era un’attrazione di nobiltà interiore che si
esprimeva nel tratto umano. Ma Mandela è stato anche un grande uomo di stato.
Che con la sua personalità ha saputo costruire lo stato e una comunità che non
c'era.
Mandela non era un non-violento
naturale. Mandela era uno che aveva capito come la pace, la riconciliazione, la
lotta per la libertà, ad un certo punto, hanno bisogno di rinunciare alla
violenza come metodo per portare un intero popolo alla libertà. E ha capito che
liberarsi dell'odio è l'unico modo per essere liberi, anche dopo, invece di restare
prigionieri del bisogno di risarcimento e vendetta. E questo è un grande
insegnamento.
Mandela
era uno che per questo suo tratto umano creava nell’interlocutore, già al primo
incontro, il desiderio di essere un po’ come lui. Questo è un miracolo della leadership,
della bellezza interiore, della rettitudine, quando uno riconosce che l'altro
lavora per un bene superiore e comune e ne viene attratto. Nella nostra vita
quotidiana questo accade di rado. Per questo quando incontriamo uno così ci
sentiamo attratti e vogliamo diventare un po’ così. Questo era Mandela e per
questo, mentre era tre cose, un "aristocratico", "un uomo di
stato" e un "rivoluzuionario", era in realtà una sola cosa.
L'altro nome con cui veniva chiamato è Tata, "il Padre".
Sono quei miracoli nella storia
che accadono solo ogni tanto. Per questo il mondo si sente un po’ più solo,
adesso. Anche se nell’ultimo periodo il mondo ha avuto la fortuna di
riconoscersi in tanti aspetti in una nuova paternità perché è apparso papa
Francesco e questo è uno di quei regali a tutti quando ci sentiamo troppo soli.
Sono diversi papa Francesco e Madiba ma sono a proprio modo due paternità per
il mondo.
Allora
quello che vorrei dire di Mandela è che abbiamo tutti vissuto l’impressione,
stando accanto a lui, di passare accanto a una grande anima. Come Ghandi, come
Giovanni XXIII. In e in questo senso Mandela si iscrive fra i grandi padri del
XX secolo e arriva fino al nostro secolo XXI.
Mandela era una grande capacità
di ascolto: non per questo era cedevole. Ascoltare non lo faceva accedere alle
richieste degli altri di avere i propri diritti riconosciuti, se questi erano a
danno degli altri.
I diritti, il diritto alla
libertà, alla dignità, erano superiori a tutto ma mai al fatto di poterlo fare
contro gli altri. Questa è la chiave, ed è una chiave per oggi.
Mandela ha trovato il modo per
aiutare la propria comunità, tante comunità in una comunità come quella
sudafricana, a vivere insieme.
Oggi, da questo Parlamento, noi
dobbiamo dire che viviamo, a livello mondiale, la crisi del vivere insieme.
Tutti i luoghi di convivenza fra popoli, etnie, gruppi diversi, milioni di
persone che sono state insieme per secoli, in questo decennio, in questi ultimi
decenni, dalla fine del XX secolo, sono entrati in crisi. E' proprio il vivere
insieme che è in crisi nel nostro mondo. Lo diciamo dentro una guerra anomala,
quella dell’Ucraina e di quella zona del mondo, che è terribile. E' visibile da
più di 60 anni nel conflitto Israelo-Palestinese. Tra Siria e Iraq c'è una
rottura della convivenza tra religioni, popoli, storie e assistiamo con sdegno,
disagio, impotenza, necessità di inventare strade nuove, all'intolleranza che
si fa assassina in nome della religione con l'avanzata del cosiddetto
"Califfato" tra Siria e Iraq, le chiese bruciate, come le persone. E'
la distruzione dell’altro, ora anche in nome di una religione, usata male.
Usata.
Allora quello che ha fatto
Mandela è ricordare ad ognuno che si sta meglio se si vive con l'altro.
Ma per fare questo Mandela doveva portare al centro un tema: la convinzione che
senza perdono e senza riconciliazione, non c’è neanche giustizia, perché la
giustizia senza perdono e senza riconciliazione mantiene intatta nei cuori la
patologia della memoria.
La
patologia della memoria fa spostare all’indietro sempre la data dell’ultimo
torto subito, così non possono finire i genocidi. E' quello che dolorosamente emerge
quando nelle guerre balcaniche, dove i torti, per gli uni, risalgono fino al
tempo della battaglia del Campo dei Merli, alla fine del Medioevo.
E non si può trovare un momento
in cui una parte é senza torto. la storia non è mai solo bianco o solo nero.
Perché
questo è il punto, anche oggi per le grandi crisi mondiali: Mandela aveva una leadership
capace di vedere nella riconciliazione un bene superiore all’automatismo di
voler avere, in maniera rapida, i propri diritti riconosciuti anche contro
l'altro, anche schiacciando l'altro. Questo è quello che sta mancando alla leadership
del mondo, perché ogni nuovo torto innesca subito la banalità della rappresaglia,
la banalità di usare la forza. E' terribile e alla fine incosciente: appare
chiaro nell'anniversario dei cento anni dallo scoppio della Prima Guerra
Mondiale. Ma c’è sempre una forza più alta, più profonda, che è quella di saper
non usare la forza, trovando così le ragioni per scompaginare il campo
dell’altro con la proposta di riconciliazione: questo è quello di cui ha
bisogno il mondo.
E allora vorrei concludere con
un piccolo ricordo ulteriore di Mandela: durante quella fase del negoziato di
pace per il Burundi, dal 2000 in poi, Mandela guidava le trattative da
anglofono in un mondo di francofoni. Non era semplice, diversa la mentalità,
diverse le sfumature e nei negoziati di pace il "diavolo" sta sempre
nei dettagli. Ma c’era un livello di comunicazione diverso, ulteriore, perché
parlava il Padre. Certo, dopo le riunioni plenarie, quando il padre andava via,
come in famiglia, i figli litigano. E lì erano almeno 18 componenti, tra
guerriglia e governo, hutu e tutsi, civili e armati.
Ci incontravamo ad Arusha, in Tanzania,
o a Dar es Salaam. Faceva, spesso, molto caldo, e l'acqua era sempre molto
importante. Mandela non era perfetto, aveva una piccola debolezza ovvero un
gusto della vita che emergeva in questi casi. La stessa, a dire il vero, che ho
io. Amava l’acqua frizzante e, in Africa, l’acqua frizzante non si trova. Non
piace quasi a nessuno. Ma arrivava una cassetta di acqua frizzante tenuta in
fresco per Mandela. E, siccome Madiba era sempre gentile e generoso, anche
nelle piccole cose, io godevo di questo privilegio. E attraverso Zelda, la sua
assistente, bianca, colta, estremamente capace, me la faceva arrivare nonostante
ci fossero cose molto più importanti da tenere a mente.
Allora vorrei ricordare di lui oggi almeno
queste due cose. Primo: la creazione della Commissione del perdono e della
riconciliazione, che passava prima per il riconoscimento e l'ammissione delle
colpe: verità e riconciliazione, senza vendetta. E' passata da qui la
possibilità di una vera nascita del nuovo Sudafrica dopo l'apartheid. L'arte di
costruire la capacità di vivere insieme e di pensare che la riconciliazione è
un’arte politica, non è parte del buonismo delle anime belle. Secondo: il suo
amore per l’acqua frizzante, come un'idea della vita, sempre aperta all'ironia.
Grazie.