Mario Marazziti - Pagina Ufficiale

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lunedì 21 luglio 2014

On. Mario Marazziti - ricordo di Nelson Mandela - 18.07.2014




Seminario Parlamentare - Venerdì 18 Luglio 2014
Italia chiama Africa

È un privilegio per me essere oggi a questo convegno, Mandela day, che è stato immaginato proprio quando abbiamo ricordato la scomparsa di Nelson Mandela in una sessione speciale del nostro Comitato diritti umani lo scorso anno. Volevamo diventasse un appuntamento annuale, non formale. Per incidere positivamente nella nostra attività parlamentare. Il mio - è quanto mi è stato richiesto - sarà un ricordo personale di Madiba, "L'Amato", di Nelson Mandela: ma cercando di trarre da lui, dalle sue virtù personali, alcuni insegnamenti per i problemi che abbiamo di fronte.



Oggi ricordiamo Nelson Mandela in un giorno buono per il Parlamento italiano. Un giorno buono per l’amicizia con l’Africa. Perché ieri abbiamo approvato, a grandissima maggioranza, la nuova legge sulla cooperazione internazionale allo sviluppo, una legge che aspettava di essere cambiata da più di venti anni.
E questa legge, questo Parlamento, hanno detto in questo modo "no" all’afro-pessimismo. Abbiamo detto no all’ exit strategy dall’ Africa e dal Sud del mondo. Abbiamo detto anche un no a un'idea che non condivido: quella di parlare con l’Africa o con il Sud del mondo solo quando ci sono paesi che crescono economicamente a due cifre. Non è questa l’idea, anche se è importante che vi siano segni di crescita che, se ben indirizzati, diventano una formidabile arma di lotta alla povertà e sconfiggono da soli l'idea arretrata dell'"Africa-problema". E' l’idea di una grande alleanza per cambiare il mondo, in meglio, dove lo sviluppo è chiave di dignità, di pace, di partenariato profondo.
Questo era anche l’approccio che veniva naturale quando si incontrava, si aveva la fortuna di incontrare personalmente, Nelson Mandela. Io ho avuto questa fortuna nel lavorare con lui quando, assieme alla Comunità di Sant’Egidio, ero impegnato nella mediazione di pace per far terminare il conflitto, il genocidio, fra Hutu e Tutsi in Burundi, assieme a don Matteo Zuppi, un uomo di pace con il dono di spiegare alle parti il loro pensiero profondo, oltre le paure.
Mandela è stato il main facilitator di quel processo di pace, dopo la scomparsa di un altro grande africano, Julius Nyerere. Io e la mia organizzazione guidavamo la parte del negoziato sul cessate il fuoco, sulla riconciliazione, sulla "sicurezza per tutti", e cioè sulla possibilità davvero di abbandonare le armi e di decidere per la pace. La parte del negoziato che metteva davvero fine al genocidio e poneva le premesse per una vita sicura dopo.
L’incontro con Mandela: Mandela non era mai una cosa sola. Mandela è stato un leader rivoluzionario, era un aristocratico, ed era un uomo di stato. Aveva una bellezza fisica, un tratto gentile, davvero da aristocratico ma senza il distacco degli aristocratici. E' stato ricordato da madame Tambo: era un’attrazione di nobiltà interiore che si esprimeva nel tratto umano. Ma Mandela è stato anche un grande uomo di stato. Che con la sua personalità ha saputo costruire lo stato e una comunità che non c'era.
Mandela non era un non-violento naturale. Mandela era uno che aveva capito come la pace, la riconciliazione, la lotta per la libertà, ad un certo punto, hanno bisogno di rinunciare alla violenza come metodo per portare un intero popolo alla libertà. E ha capito che liberarsi dell'odio è l'unico modo per essere liberi, anche dopo, invece di restare prigionieri del bisogno di risarcimento e vendetta. E questo è un grande insegnamento.
Mandela era uno che per questo suo tratto umano creava nell’interlocutore, già al primo incontro, il desiderio di essere un po’ come lui. Questo è un miracolo della leadership, della bellezza interiore, della rettitudine, quando uno riconosce che l'altro lavora per un bene superiore e comune e ne viene attratto. Nella nostra vita quotidiana questo accade di rado. Per questo quando incontriamo uno così ci sentiamo attratti e vogliamo diventare un po’ così. Questo era Mandela e per questo, mentre era tre cose, un "aristocratico", "un uomo di stato" e un "rivoluzuionario", era in realtà una sola cosa. L'altro nome con cui veniva chiamato è Tata, "il Padre".
Sono quei miracoli nella storia che accadono solo ogni tanto. Per questo il mondo si sente un po’ più solo, adesso. Anche se nell’ultimo periodo il mondo ha avuto la fortuna di riconoscersi in tanti aspetti in una nuova paternità perché è apparso papa Francesco e questo è uno di quei regali a tutti quando ci sentiamo troppo soli. Sono diversi papa Francesco e Madiba ma sono a proprio modo due paternità per il mondo.
Allora quello che vorrei dire di Mandela è che abbiamo tutti vissuto l’impressione, stando accanto a lui, di passare accanto a una grande anima. Come Ghandi, come Giovanni XXIII. In e in questo senso Mandela si iscrive fra i grandi padri del XX secolo e arriva fino al nostro secolo XXI.
Mandela era una grande capacità di ascolto: non per questo era cedevole. Ascoltare non lo faceva accedere alle richieste degli altri di avere i propri diritti riconosciuti, se questi erano a danno degli altri.
I diritti, il diritto alla libertà, alla dignità, erano superiori a tutto ma mai al fatto di poterlo fare contro gli altri. Questa è la chiave, ed è una chiave per oggi.
Mandela ha trovato il modo per aiutare la propria comunità, tante comunità in una comunità come quella sudafricana, a vivere insieme.
Oggi, da questo Parlamento, noi dobbiamo dire che viviamo, a livello mondiale, la crisi del vivere insieme. Tutti i luoghi di convivenza fra popoli, etnie, gruppi diversi, milioni di persone che sono state insieme per secoli, in questo decennio, in questi ultimi decenni, dalla fine del XX secolo, sono entrati in crisi. E' proprio il vivere insieme che è in crisi nel nostro mondo. Lo diciamo dentro una guerra anomala, quella dell’Ucraina e di quella zona del mondo, che è terribile. E' visibile da più di 60 anni nel conflitto Israelo-Palestinese. Tra Siria e Iraq c'è una rottura della convivenza tra religioni, popoli, storie e assistiamo con sdegno, disagio, impotenza, necessità di inventare strade nuove, all'intolleranza che si fa assassina in nome della religione con l'avanzata del cosiddetto "Califfato" tra Siria e Iraq, le chiese bruciate, come le persone. E' la distruzione dell’altro, ora anche in nome di una religione, usata male. Usata.
Allora quello che ha fatto Mandela è ricordare ad ognuno che si sta meglio se si vive con l'altro. Ma per fare questo Mandela doveva portare al centro un tema: la convinzione che senza perdono e senza riconciliazione, non c’è neanche giustizia, perché la giustizia senza perdono e senza riconciliazione mantiene intatta nei cuori la patologia della memoria.
La patologia della memoria fa spostare all’indietro sempre la data dell’ultimo torto subito, così non possono finire i genocidi. E' quello che dolorosamente emerge quando nelle guerre balcaniche, dove i torti, per gli uni, risalgono fino al tempo della battaglia del Campo dei Merli, alla fine del Medioevo.
E non si può trovare un momento in cui una parte é senza torto. la storia non è mai solo bianco o solo nero.
Perché questo è il punto, anche oggi per le grandi crisi mondiali: Mandela aveva una leadership capace di vedere nella riconciliazione un bene superiore all’automatismo di voler avere, in maniera rapida, i propri diritti riconosciuti anche contro l'altro, anche schiacciando l'altro. Questo è quello che sta mancando alla leadership del mondo, perché ogni nuovo torto innesca subito la banalità della rappresaglia, la banalità di usare la forza. E' terribile e alla fine incosciente: appare chiaro nell'anniversario dei cento anni dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Ma c’è sempre una forza più alta, più profonda, che è quella di saper non usare la forza, trovando così le ragioni per scompaginare il campo dell’altro con la proposta di riconciliazione: questo è quello di cui ha bisogno il mondo.
E allora vorrei concludere con un piccolo ricordo ulteriore di Mandela: durante quella fase del negoziato di pace per il Burundi, dal 2000 in poi, Mandela guidava le trattative da anglofono in un mondo di francofoni. Non era semplice, diversa la mentalità, diverse le sfumature e nei negoziati di pace il "diavolo" sta sempre nei dettagli. Ma c’era un livello di comunicazione diverso, ulteriore, perché parlava il Padre. Certo, dopo le riunioni plenarie, quando il padre andava via, come in famiglia, i figli litigano. E lì erano almeno 18 componenti, tra guerriglia e governo, hutu e tutsi, civili e armati.
Ci incontravamo ad Arusha, in Tanzania, o a Dar es Salaam. Faceva, spesso, molto caldo, e l'acqua era sempre molto importante. Mandela non era perfetto, aveva una piccola debolezza ovvero un gusto della vita che emergeva in questi casi. La stessa, a dire il vero, che ho io. Amava l’acqua frizzante e, in Africa, l’acqua frizzante non si trova. Non piace quasi a nessuno. Ma arrivava una cassetta di acqua frizzante tenuta in fresco per Mandela. E, siccome Madiba era sempre gentile e generoso, anche nelle piccole cose, io godevo di questo privilegio. E attraverso Zelda, la sua assistente, bianca, colta, estremamente capace, me la faceva arrivare nonostante ci fossero cose molto più importanti da tenere a mente.
Allora vorrei ricordare di lui oggi almeno queste due cose. Primo: la creazione della Commissione del perdono e della riconciliazione, che passava prima per il riconoscimento e l'ammissione delle colpe: verità e riconciliazione, senza vendetta. E' passata da qui la possibilità di una vera nascita del nuovo Sudafrica dopo l'apartheid. L'arte di costruire la capacità di vivere insieme e di pensare che la riconciliazione è un’arte politica, non è parte del buonismo delle anime belle. Secondo: il suo amore per l’acqua frizzante, come un'idea della vita, sempre aperta all'ironia. Grazie.